mercoledì 18 Dicembre 2024

La proposta israeliana per la “pace” a Gaza non è altro che l’occupazione permanente

Dopo mesi di stallo assoluto, si torna a parlare di cessate il fuoco in Palestina, in una serie di incontri che puntano a istituire una tregua entro l’Inauguration Day del 20 gennaio, giorno dell’insediamento di Trump. Le uniche fonti disponibili sono quelle giornalistiche, che risultano più vaghe e criptiche del solito, sintomo, secondo alcuni analisti, della serietà delle trattative. Tuttavia, le varie opzioni che sembrano venire presentate appaiono le stesse emerse nell’ultimo anno, leggermente più annacquate: Israele vuole mantenere il controllo della sicurezza a Gaza o concentrarlo nei punti chiave del corridoio di Netzarim, che separa la parte settentrionale della Striscia dal resto del territorio, e di Philadelphi, al confine con l’Egitto. L’intenzione israeliana parrebbe insomma quella di mantenere, quanto meno, la propria presenza strategica a Gaza, nell’ottica di un’occupazione permanente della Striscia.

I colloqui per il cessate il fuoco in Palestina sono riemersi tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre, per poi farsi, almeno in superficie, sempre più seri. Inizialmente, secondo quanto riporta il sito di informazione Axios, il nuovo quadro dell’accordo non è mutato significativamente dalla proposta avanzata durante il periodo estivo e mai concretizzatasi a causa dell’insistenza di Israele nel continuare i bombardamenti a tappeto: essa prevedeva un piano a tre fasi che consisteva in un graduale ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia, da mettere in parallelo con diversi scambi di prigionieri. I primi incontri dicembrini sembrano essersi concentrati sulla sola prima fase e, secondo fonti del Wall Street Journal, le trattative in corso prevederebbero un cessate il fuoco di 42-60 giorni, durante il quale Hamas rilascerebbe alcuni dei circa 100 ostaggi ancora detenuti a Gaza in cambio di palestinesi imprigionati in Israele. Sembra che si stiano ancora negoziando i nomi dei prigionieri da liberare.

Secondo la fonte del Wall Street Journal, durante questo periodo, le truppe israeliane rimarrebbero temporaneamente a Gaza. Al momento sembra che Israele stia chiedendo che le sue forze restino prevalentemente in due segmenti della Striscia, presso i corridoi di Netzarim e Philadelphi. Hamas sembra disposto a tollerare una presenza israeliana estesa in alcune parti di questi corridoi, purché Israele alla fine vi si ritiri. Questa prima fase dell’accordo sembrava inizialmente vicina a una realizzazione: Hamas ha definito le discussioni «serie e positive» e ha sostenuto che fosse «possibile raggiungere un accordo sul cessate il fuoco e sullo scambio di prigionieri» se Israele avesse smesso «di aggiungere nuove condizioni». Anche il ministro della Difesa israeliano Israel Katz, che nell’ultimo anno ci ha abituato a esternazioni di tutt’altro tenore, si è mostrato inizialmente fiducioso, affermando che «la tregua non è mai stata così vicina».

Il problema, tuttavia, rimane il dopo cessate il fuoco: secondo fonti di Associated Press la parte palestinese starebbe spingendo per il completo ritiro delle truppe israeliane, ma allo stesso tempo, riporta il Middle East Eye, «Hamas dovrà probabilmente accettare che Israele occupi il terzo più settentrionale di Gaza, che è stato tagliato fuori dal resto della Striscia per quasi tre mesi». Anche funzionari apparsi su Axios hanno placato gli entusiasmi, affermando che, per quanto si siano fatti passi avanti, il raggiungimento di un accordo è tutt’altro che vicino, e che ci sono ancora «tanti buchi da colmare». Lo stesso ministro Katz ha ritrattato le proprie posizioni, sostenendo che «la mia posizione riguardo a Gaza è chiara. Una volta sconfitto il potere militare e governativo di Hamas a Gaza, Israele controllerà la sicurezza a Gaza con piena libertà di azione, proprio come in Giudea e Samaria [ndr. il nome israeliano per la Cisgiordania]». A tal proposito, una fonte interna ad Hamas informata sull’ultimo round di colloqui indiretti ha detto al Middle East Eye che il cessate il fuoco del mese scorso in Libano avrebbe fornito un modello per un’analoga tregua a Gaza. Alcuni mediatori, riporta invece Associated Press, starebbero prendendo in considerazione il ritorno all’accordo del 2005 che consentiva all’Autorità Palestinese di gestire il valico di Rafah insieme agli osservatori dell’Unione Europea. L’unica opzione sul tavolo, insomma, sembrerebbe essere quella di mantenere le truppe israeliano sul suolo palestinese, e di ripetere lo scenario di occupazione entro cui si muoveva la seconda intifada.

[di Dario Lucisano]

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