Con un comunicato storico, le associazioni dei familiari delle vittime di terrorismo e mafia hanno annunciato la nascita di un coordinamento unitario per chiedere verità e giustizia sugli attentati che hanno insanguinato il nostro Paese negli ultimi decenni. Secondo i promotori, infatti, è ormai evidente come lo stragismo in Italia abbia seguito un filo conduttore: un «disegno comune» finalizzato a destabilizzare l’ordine costituito attraverso una “strategia della tensione” – pista sempre più battuta dalle inchieste di molte Procure, con vari e importanti sbocchi processuali – che non si sarebbe arrestata con la strage di Bologna, ma sarebbe proseguita sino alla fase di passaggio tra la prima e la seconda repubblica, quando continuarono a cadere vittime delle bombe esponenti dello Stato e civili.
«Fino a oggi abbiamo tenuto sempre alta l’attenzione, seguito processi lunghissimi, commissioni parlamentari e vigilato sui depistaggi, le falsificazioni e le mistificazioni – hanno scritto nel comunicato congiunto le associazioni dei familiari delle vittime delle stragi –. Questo continueremo a fare ma insieme, perché ormai è chiaro che la storia dello stragismo ha evidenti collegamenti comuni e continui e che in tutte queste vicende, sempre, pezzi dello Stato sono stati responsabili di depistaggi, azioni criminali e manomissioni». Decine le firme in calce, tra cui quelle delle associazioni dei familiari delle vittime degli attentati di Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Rapido 904, Italicus e Bologna, così come della strage di Via D’Amelio e di Via dei Georgofili. Ma ci sono anche quelle dei familiari dei magistrati Bruno Caccia e Mario Amato, del poliziotto Nino Agostino, del medico Attilio Manca e dell’educatore carcerario Umberto Mormile. Tutte vittime di omicidi segnati da pesanti ombre, molte delle quali ancora senza verità. Chiari gli obiettivi del coordinamento: tra i più importanti, quello di «individuare e mettere in evidenza il disegno comune che lega tutte le stragi avvenute nel nostro Paese, teso a determinarne un cambiamento di ordine politico attraverso la cosiddetta strategia della tensione», di «concordare iniziative atte a contrastare qualsiasi ipotesi di depistaggio e mistificazione dei fatti e, in particolare, bloccare il tentativo di riscrivere la storia del Paese sottovalutando, se non addirittura ignorando, le responsabilità dell’eversione nera nelle stragi, anche in quelle comunemente dette di mafia». Si punta inoltre a organizzare iniziative divulgative ed effettuare un censimento delle fonti documentali sulla storia recente del Paese, digitalizzando la documentazione giudiziaria affinché sia «consultabile da parte di tutti».
La nascita del coordinamento si inserisce in un clima di forte tensione tra i familiari delle vittime delle stragi e la presidente della Commissione Antimafia Chiara Colosimo, contro cui le associazioni si sono scagliate in primis a causa di una fotografia che la vede sorridente e con le mani intrecciate a quelle di Luigi Ciavardini, terrorista nero condannato anche per la strage di Bologna e l’omicidio del magistrato Mario Amato, scattata e pubblicata su Facebook dalla stessa Colosimo prima della sua salita al vertice di Palazzo San Macuto. Mesi fa, l’ex magistrato e ora senatore del M5S Roberto Scarpinato aveva presentato a Colosimo un’articolata memoria in cui ha enucleato tutti i principali “buchi neri” della stagione stragista, che suggeriscono concreti elementi di collegamento tra mafia, eversione di estrema destra, servizi e massoneria deviati, cui però la presidente non ha dato seguito, preferendo incentrare i lavori della Commissione solo sulla strage di Via D’Amelio. Escludendo, sin da subito, di esplorare i legami tra mafia ed entità esterne dietro all’intera stagione stragista.
Il denominatore più evidente tra le stragi cosiddette “terroristiche” e “mafiose” è quello degli accertati depistaggi di natura istituzionale, che si allineano in un lungo filo rosso che collega gli episodi più tragici dell’intera storia repubblicana. Il secondo è quello del clima di fortissima instabilità politica che ha contraddistinto le tappe più salienti della strategia di “destabilizzazione” attuata a suon di bombe: ai tempi della Strage di Piazza Fontana lo scenario politico fu segnato dal grande successo del PCI alle elezioni nazionali del 1968 e dalle lotte sindacali operaie e studentesche che avevano animato l’ “autunno caldo” del 1969; negli anni Novanta, lo scacchiere politico era stato invece sconquassato dalle inchieste di Mani Pulite, che rasero al suolo i partiti “storici” della prima repubblica, aprendo le porte alla potenziale disfatta delle forze politiche più rappresentative dell’ottica dello status quo (a livello sia nazionale che geopolitico) e di una certa attitudine al compromesso con fazioni e personaggi del crimine organizzato. Secondo i familiari delle vittime – ma anche di molti magistrati che si sono occupati nel tempo delle cointeressenze tra mafia, eversione nera e entità istituzionali e massoniche – non si tratta solo di semplici coincidenze.
[di Stefano Baudino]