venerdì 20 Dicembre 2024

Ex Ilva di Taranto, ancora una beffa: i cittadini inquinati devono restituire i risarcimenti

La vicenda dell’ex Ilva si arricchisce di un nuovo, doloroso capitolo. È infatti giunto l’ennesimo schiaffo per le 31 famiglie del quartiere Tamburi di Taranto – il più vicino all’impianto siderurgico – che avevano ottenuto un risarcimento per i danni causati dalle emissioni inquinanti. Queste famiglie, inizialmente indennizzate con cinquemila euro ciascuna, saranno ora costrette a restituire l’intera somma ai fratelli Riva, ex proprietari del gruppo industriale. Lo ha stabilito la Corte d’Assise d’Appello di Taranto. Il risarcimento era stato concesso come provvisionale, un anticipo in attesa della sentenza definitiva del processo “Ambiente svenduto”, in cui i Riva erano imputati per disastro ambientale. Tuttavia, lo scorso settembre, la Corte d’Assise d’Appello ha annullato la sentenza di primo grado, ritenendo che l’imparzialità del giudizio fosse compromessa dalla presenza di due magistrati onorari che rivestivano il ruolo di parte lesa

La decisione è stata confermata dalla Corte di Cassazione, che ha dichiarato inammissibili i ricorsi delle parti civili, tra cui il Codacons e l’Associazione Aidma. Il processo penale sarà ora trasferito a Potenza, e le provvisionali già assegnate verranno annullate. Nicola Riva ha così ottenuto un decreto ingiuntivo per il recupero dei 155 mila euro totali. Il gruppo Riva, che nel 2021 ha registrato un fatturato di 4,32 miliardi di euro, è accusato di aver gestito l’Ilva in modo deliberatamente nocivo per la salute pubblica e l’ambiente, privilegiando il massimo profitto a scapito della comunità locale. Tuttavia, i legali della famiglia hanno difeso l’ingiunzione come una misura legittima, conseguente all’annullamento del verdetto di primo grado.

Il Codacons, che nel maggio scorso aveva distribuito i risarcimenti durante un evento pubblico, ha criticato duramente sia la decisione giudiziaria sia l’atteggiamento dei Riva. In una nota ufficiale, l’associazione ha dichiarato: «Il loro comportamento ricorda gli anni in cui hanno gestito l’Ilva in modo sconsiderato, consapevolmente finalizzato a inquinare l’ambiente e danneggiare la salute delle persone per aumentare i propri guadagni. Ormai non ci stupiamo più: non è una sorpresa, anzi, è il minimo che queste persone abbiano fatto fino a oggi».

Il processo “Ambiente svenduto” ha seguito un iter lungo e controverso. Gli imputati erano accusati di numerosi reati, tra cui concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari e all’omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Nel maggio 2021, in primo grado, erano state emesse 26 condanne per un totale di 270 anni di carcere. Tra le pene più rilevanti spiccavano i 20 e 22 anni inflitti rispettivamente a Fabio e Nicola Riva.

Tuttavia, lo scorso settembre, la Corte d’Assise d’Appello di Taranto, sezione distaccata della Corte d’Appello di Lecce, ha annullato il verdetto di primo grado. I giudici hanno accolto la richiesta avanzata dalla difesa della famiglia Riva – che aveva gestito l’azienda dal 1995 al 2012 – di trasferire il processo a Potenza. La motivazione risiede nel fatto che i giudici di primo grado, essendo residenti a Taranto, sarebbero stati anch’essi «parti offese» nel procedimento, ovvero vittime del potenziale reato oggetto del giudizio. Questo avrebbe compromesso la loro «giusta serenità» nel pronunciarsi sulla vicenda.

[di Stefano Baudino]

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