Gli europei che donano vecchi vestiti presumono, in genere, che questi andranno a finire ai bisognosi. Tuttavia, questi potrebbero facilmente finire in un discarica illegale in un Paese straniero. Solitamente, l’abbigliamento di seconda mano finisce in Paesi poveri, soprattutto africani. Può capitare, tuttavia, che questi finiscano anche in Europa: è il caso della Romania. Le autorità ambientali rumene affermano che il Paese sta diventando una discarica per i rifiuti etichettati come indumenti usati. In molti casi, questi finiscono per essere scaricati nei fiumi e nei campi. Il commercio di abbigliamento usato in Europa non è strettamente monitorato e le normative differiscono da Paese a Paese, rendendo difficile l’applicazione degli standard. Spesso, legislazioni deboli e una supervisione poco attenta creano canali per il flusso di grandi quantità di rifiuti tessili, che attraversano le frontiere e finiscono per inquinare l’ambiente.
L’industria europea dell’abbigliamento usato e del dono degli indumenti si propone come una soluzione ecologica nell’era del fast fashion, in cui i vestiti economici vengono prodotti, acquistati e smaltiti a un ritmo sempre più rapido. Nei Paesi europei più ricchi, i bidoni per la raccolta dei vestiti usati lungo le strade sono spesso tappezzati di slogan che si riferiscono alla sostenibilità ambientale. Ma la realtà non è sempre verde. Spesso, i vestiti raccolti nei contenitori per le donazioni vengono rivenduti localmente, mentre gli articoli di qualità inferiore, oppure sporchi, strappati o altrimenti inutilizzabili, vengono esportati in Paesi poveri. Soprannominato “colonialismo dei rifiuti”, questo trasferimento di rifiuti tessili dai Paesi ricchi – l’Europa esporta più di un terzo dei vestiti usati a livello mondiale – a quelli poveri, spesso sotto le spoglie della filantropia, è stato ben documentato in Paesi come il Ghana, il Kenya e il Cile, che importano grandi volumi di indumenti usati dall’Europa. Del flusso di prodotti tessili trasferiti all’interno dell’Unione Europea, come quello verso la Romania, si sa tuttavia molto meno. Un’indagine di Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP) e del suo partner rumeno RISE offre uno spaccato della realtà su come il commercio ben intenzionato spesso vada a impattare negativamente sull’ambiente anziché fornire un’alternativa sostenibile, anche all’interno dei confini europei.
In Romania, la regione che ne fa le spese è la Valle del Jiu. Qui, gli indumenti inutilizzabili vengono scaricati nei campi e la popolazione locale li utilizza come materiale combustibile per scaldare le proprie abitazioni. Gli abitanti locali sono abituati a tale pratica al punto da aver sviluppato un sistema di classificazione dei tessuti più desiderabili da utilizzare nelle stufe: i blue jeans, il materiale migliore, bruciano lentamente e riscaldano, mentre le scarpe, al livello più basso, emettono fumi terribili ed hanno poca proprietà riscaldante. Secondo il database Comtrade delle Nazioni Unite, tra il 2020 e il 2023 sono state trasportate in Romania una media di 58.000 tonnellate di indumenti usati all’anno. Il principale fornitore in questo periodo è stata la Germania, che è uno dei principali esportatori mondiali di abbigliamento usato e ha rappresentato circa il 50% delle importazioni della Romania negli ultimi quattro anni. Ovviamente c’è una forte motivazione economica per inviare spedizioni di questo tipo ai Paesi più poveri, compresi quelli all’interno dell’UE, come la Romania. Il costo di smaltimento di questi rifiuti risulta infatti essere più alto nei Paesi ricchi rispetto a quelli poveri, senza considerare che molto spesso il processo avviene in maniera illegale.
Un fattore che contribuisce al fenomeno, come quello osservato in Romania, è la mancanza di una chiara definizione di “rifiuti tessili” nel diritto dell’UE. Non esistono inoltre criteri comuni per stabilire quali misure debbano essere adottate affinché un capo di abbigliamento usato sia da considerarsi riutilizzabile anziché da smaltire. Una proposta del 2023 in sede europea introdurrebbe nuove norme, come gli obblighi di cernita, per garantire che ciò che viene spedito come tessile usato sia effettivamente idoneo al riutilizzo. Al momento, però, niente è stato fatto. E così, ci sono Paesi, come la Romania, in cui i rifiuti tessili vengono gettati in discariche illegali o abbandonati nei letti dei fiumi contribuendo a pratiche che mettono in serio pericolo l’ambiente e la salute dei cittadini.
[di Michele Manfrin]