lunedì 23 Dicembre 2024

Venezia, perquisite le case di tre attivisti contro il ticket d’ingresso

Venezia, 6 del mattino di una fredda giornata di novembre. In due abitazioni del centro storico della città lagunare suona inaspettatamente il campanello: sono una ventina di agenti delle forze dell’ordine, arrivati per cercare tre attivisti contro il ticket d’ingresso, accusati di aver imbrattato e danneggiato le colonnine in tela contenenti il codice QR per consentire l’accesso dei turisti all’applicazione della piattaforma. I fatti risalgono allo scorso giugno, e gli indagati sono accusati, a vario titolo, di danneggiamento e concorso in danneggiamento. Secondo gli attivisti, l’obiettivo della questura è evidente: «punirne tre per educarne cento». La perquisizione e il conseguente sequestro di dispositivi elettronici sono stati preceduti da diversi episodi di pedinamenti, provocazioni e intimidazioni da parte degli agenti di polizia, inseriti in un contesto di crescente stretta repressiva che coinvolge la città lagunare. «Un atto intimidatorio», ha dichiarato una delle persone coinvolte a L’Indipendente, «ma non dobbiamo farci spaventare: la visita delle forze dell’ordine è pensata per scoraggiare le contestazioni contro il ticket d’accesso, ma non fa che confermarci che siamo sulla strada giusta».

Le perquisizioni nelle case degli attivisti risalgono allo scorso 15 novembre e riguardano fatti avvenuti l’8 giugno, quando nella notte sono stati danneggiati i banner pubblicitari sul ticket d’accesso, costituiti da colonnine in tela di forma parallelepipeda con stampato un codice QR per accedere alla piattaforma online di prenotazione. Poco prima dell’alba, gli attivisti si sono visti piombare in casa rispettivamente una decina di agenti delle forze dell’ordine, muniti di decreto motivato dell’autorità giudiziaria (noto gergalmente come “mandato di perquisizione”) per ispezionare le loro abitazioni e sequestrare qualsiasi oggetto collegabile al reato, comprese apparecchiature elettroniche e opuscoli della campagna di contestazione. Dopo il sopralluogo, i tre sono stati condotti in questura, dove sono rimasti l’intera mattinata; durante la permanenza sono stati compilati verbali e schede segnaletiche con foto e impronte digitali. In totale, tra controlli e documentazione, sono stati impiegati una quarantina di agenti delle forze dell’ordine.

Secondo gli attivisti, lo scopo della visita della polizia è chiaro: «Siamo stati attaccati per ciò che rappresentiamo, perché rivendichiamo e occupiamo uno spazio di voce altra nel discorso cittadino». Gli stessi attivisti denunciano di non essere nuovi a forme di intimidazione da parte delle forze dell’ordine. Una delle persone coinvolte ha dichiarato a L’Indipendente di essere stata ripetutamente oggetto di pedinamenti e provocazioni da parte di agenti: «Alcuni mi chiamano con soprannomi che conoscono solo alcuni amici stretti; in occasione di manifestazioni o eventi particolari, capita addirittura che mi aspettino sotto casa per “darmi il buongiorno” e seguirmi sin dall’inizio del tragitto», ha spiegato. «Durante la perquisizione hanno minacciato di portarmi sul luogo di lavoro per continuarla, nonostante il decreto fosse limitato solo al mio appartamento». L’operazione, inoltre, sembrerebbe essere stata pianificata per prenderli tutti insieme: «Il decreto risale al 6 settembre con scadenza al 6 ottobre, ma è stato prolungato di due mesi», ha affermato l’attivista. «Tra di noi c’è chi ha la residenza in un’altra provincia, e il 15 novembre risultava la prima data utile in cui trovarci tutti e tre a Venezia». Inoltre, due dei tre attivisti si trovavano nello stesso appartamento, nonostante risultassero domiciliati in luoghi distinti, fatto che suggerirebbe come gli agenti fossero a conoscenza della loro presenza lì.

I fatti del 15 novembre si inseriscono in un contesto di crescente stretta repressiva da parte delle forze dell’ordine veneziane. Giovedì 19 dicembre, la questura ha impedito, senza apparente motivazione, lo svolgimento di un corteo antimilitarista, concedendo solamente un presidio. Per l’occasione sono stati schierati circa ottanta agenti, il doppio dei manifestanti presenti; quando un altro gruppo, composto da una decina di persone, è giunto al presidio, le forze dell’ordine hanno chiuso le strade e bloccato i manifestanti, sfoderando i manganelli e procedendo a una carica. Lo scorso 2 novembre, diverse persone sono state denunciate per aver preso parte a una manifestazione antimilitarista; nei mesi passati, gli agenti hanno identificato alcuni manifestanti durante un presidio sotto l’istituto penitenziario di Santa Maria Maggiore. In altre occasioni, le forze dell’ordine si sono appostate nei pressi di edifici o appartamenti dove si stavano svolgendo incontri informali tra individui partecipi nelle dinamiche di mobilitazione cittadina, per poi identificare i presenti.

Gli attivisti, comunque, non sono preoccupati: «Non c’è niente da temere. Questo sperperio di denaro pubblico ha il solo scopo di spaventarci e scoraggiare le persone a partecipare a progetti per la tutela della città». Quello che sembrerebbe un evidente aumento della stretta repressiva non fa che dare slancio alla mobilitazione e rinvigorire le attività nella laguna: «I controlli arbitrari dimostrano che stiamo toccando un tasto dolente. Al posto di dissuaderci, ci danno ancora più motivazione a continuare per la nostra strada: sono la prova concreta che abbiamo ragione». Secondo gli attivisti, il ticket non lede solo i diritti e le libertà personali di tutti i cittadini, ma «mina alla radice il concetto stesso di città come luogo di scambio e vita vissuta e condivisa, rendendola un museo a cielo aperto per i turisti». La misura finisce per provocare «una crescita esponenziale degli affitti, e un aumento dei servizi destinati unicamente a chi transita in città, a chi la usa e non a chi la abita».

[di Dario Lucisano]

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