lunedì 27 Gennaio 2025

La vera storia del Natale è molto diversa da come la conosciamo

Nel mondo di oggi, la prima celebrazione che si associa alla parola “festa” è certamente il Natale. Allo stesso tempo, non si può neanche pensare al modello consumistico senza in qualche modo richiamare nella propria mente la natività di Cristo: tra doni, alberi, festoni e lucine, il periodo natalizio è infatti quello in cui la maggior parte delle persone mette più mano ai propri portafogli. Il Natale è una festa millenaria, che affonda le radici delle sue pratiche in tradizioni ancora più antiche. Essa si è evoluta nei secoli mutando spesso di forma, ma mai di sostanza, diventando, solo in epoca recente, una celebrazione forsennata del consumismo di massa. Dalle celebrazioni pagane all’età vittoriana, passando per alto e basso Medioevo, il Natale è diventato una festa capitalistica, trasformandosi in quello che il suo spirito cristiano rigetterebbe di più. 

La data di nascita di Cristo

Contrariamente a quanto sostenuto da molti, il percorso che ha portato alla nascita del Natale è tutt’altro che definito. Quello che poi ha fatto confluire le celebrazioni natalizie attorno alla data del 25 dicembre è ancora più lungo e intricato ed è frutto di un processo trasformativo durato centinaia di anni. Per secoli, infatti, più che di Natale sarebbe stato corretto parlare di “periodo natalizio”, un insieme di festività e celebrazioni che andavano dall’inizio di dicembre ai primi giorni di gennaio. Si pensi, a tal proposito, che la data dell’Immacolata Concezione, la festa più importante del periodo dell’Avvento, fu fissata in maniera definita solo nel 1854.

Il presepe o presepio è una rappresentazione che raffigura la Natività di Gesù

Generalmente, l’identificazione del 25 dicembre come giorno di nascita di Cristo – che non è segnato nei Vangeli – viene fatto coincidere con l’Editto di Milano del 313, con il quale fu concessa libertà di culto ai cristiani. A riprova di tale tesi, vi sarebbero diverse testimonianze: la prima menzione certa della natività di Cristo è del 336 e appare nel cosiddetto “Cronografo”, un calendario illustrato redatto da un letterato romano. In molti, per tale motivo, ritengono che il 25 dicembre sia stato fissato come data di nascita di Cristo per sostituire le feste pagane del Sol Invictus (la nascita del Sole Invitto) e dei Saturnalia (festività in onore del Dio Saturno).

In verità, queste tesi, per quanto supportate da fonti e interpretazioni valide, non sono mai state appurate storicamente. Per quanto infatti le celebrazioni del Sole, e in generale del 25 dicembre – data del solstizio d’inverno secondo il calendario romano – fossero di lunga tradizione, la festa del Sol Invictus fu fissata solo nel 274 dall’Imperatore Aureliano, accodandola alla ben più antica celebrazione del Dio Saturno che durava dal 17 al 23 dicembre. D’altra parte, ulteriori fonti antecedenti al 274 sembrerebbero indicare che la data del 25 dicembre come nascita di Cristo fosse già nota. Per questo motivo, certe tesi sostengono che, più che essere la nascita di Cristo a essere stata istituita per sostituire la nascita del Sole Invitto, sarebbe vero il contrario, e che dunque sia stata la nascita del Sole Invitto a essere stata fissata per sostituire la nascita di Cristo, in un tentativo di resuscitare le tradizioni pagane nell’era in cui l’Impero romano ancora avversava il nuovo culto monoteista.

Quello che è certo è che la data del 25 dicembre coincideva con le tradizioni pagane di culto del Sole e contadine di festeggiamento invernale, cosa che non andava per niente giù ai vertici della Chiesa. In un sermone del V secolo, Papa Leone I esprimeva infatti la sua «angoscia» verso i cristiani che manifestavano una venerazione nei confronti del Sole, portando avanti le pratiche pagane: durante la settimana di Saturnali, per esempio, ci si scambiava doni e cesti di cibo, si preparavano banchetti e si organizzavano sfilate e falò popolari. Qualche decina di anni prima, anche Sant’Agostino criticava i cristiani che praticavano lo scambio di doni con i pagani. Al di là della genesi del 25 dicembre, quello che conta, e che costituisce il germe del mutamento del Natale in una festa consumistica, è proprio questo sovrapporsi di tradizioni pagane e di origine contadina. 

Dal Medioevo all’età vittoriana: la nascita del Natale moderno

Potrà sembrare strano, ma nel corso del Medioevo il Natale non era una festa importante come si sarebbe portati a immaginare. La celebrazione della natività di Cristo era di certo una ricorrenza importante nel calendario liturgico, ma non equiparabile a festività come l’Annunciazione o la Pasqua. La stagione dell’Avvento era prevalentemente contraddistinta da digiuni e privazioni, accompagnati da ricorrenze rilevanti quali quella di San Nicola (venerato il 6 dicembre), Sant’Ambrogio (il 7 dicembre), o Santa Lucia (il 13 dicembre). L’Avvento era però seguito da un periodo di celebrazione lungo dodici giorni, dal 25 dicembre al 5 gennaio. In questi giorni, anche i ceti più bassi della società mangiavano senza troppe remore quello che avevano accumulato durante i giorni dell’Avvento (la macellazione solitamente avveniva verso la fine di novembre) e la fine del raccolto godendosi il meritato riposo dal lavoro e il rifugio dal freddo. Nei primi secoli dopo la caduta dell’Impero romano, tuttavia, il Natale rimaneva una festa particolarmente sotto tono. 

Le celebrazioni, le processioni, i canti, i banchetti, gli agghindamenti delle case e lo scambio di doni che spesso associamo alla natività di Cristo iniziarono a coinvolgere la maggior parte della popolazione solo attorno al XII-XIII secolo e diventarono via via più popolari. La pratica del dono, tuttavia, non cadeva sistematicamente il 25 dicembre, bensì mutava di giorno in base a periodo e località. Per fare un esempio, si pensi che in alcuni insediamenti tra le montagne lombarde, la pratica di scambio di doni è continuata a cadere in occasione di Santa Lucia fino alla metà del ’900. La crescita delle pratiche celebrative visse un’importante battuta di arresto nei Paesi che aderirono alla riforma protestante, che furono protagonisti di una strenua opposizione ai festeggiamenti del Natale fino al XIX secolo. Eppure, con l’avvento delle nuove tecnologie della rivoluzione industriale, è proprio a un Paese protestante che si attribuisce la nascita del Natale moderno: l’Inghilterra.

In tanti attribuiscono tale merito allo scrittore britannico Charles Dickens e al suo Canto di Natale, ma, di nuovo, si tratta di una mezza verità. Con la sua opera, uscita nel 1843, Dickens riuscì piuttosto a ritrarre nero su bianco i bisogni materiali e ideali della classe lavoratrice inglese in un’epoca di totale rinnovamento, dando loro nuova vita e cementificando l’emergente senso di spiritualità attorno al Natale. Il nuovo modello produttivo toglieva tempo ai lavoratori, impedendo loro di passare il Natale in famiglia come erano soliti fare nella vita di campagna. Sotto l’emergente sistema industriale capitalistico sorse dunque il desiderio di superare l’individualismo dettato dalla modernità e di ritrovare una comune identità spirituale, che consolidò il nuovo “spirito del Natale”, fatto di carità e senso di unione. 

L’imposizione del modello consumista

La volontà di ritorno alle origini proveniente dal basso fu accompagnata da un’opposta spinta dall’alto, che tuttavia non fece che consolidare ancora di più la nuova idea di Natale: quella della seconda rivoluzione industriale. L’entusiasmo verso il nuovo modello produttivo che caratterizzava l’Inghilterra vittoriana spinse le classi più alte della società ad adottare pratiche dimenticate da tempo, proprio come quella dell’agghindamento urbano e domestico. Lo sfarzo delle decorazioni natalizie diventava lo specchio di un mondo in trasformazione sulla cresta dell’ondata di novità introdotta dal rinnovamento tecnologico, e viaggiava di pari passo con quell’esigenza di spiritualità che toccava le classi più povere della società, alimentandola e facendosi alimentare da essa. Da una parte un mondo al collasso, dall’altra una rinascita produttiva. Sono questi gli elementi che caratterizzano il mondo moderno e che, tra le altre cose, hanno rivoluzionato l’idea del Natale. La maggiore meccanizzazione e la diffusa industrializzazione del mondo contribuirono col tempo a creare una nuova classe media con maggiori capacità di reddito. La maggiore prosperità di questa classe ha contribuito alla crescita del mercato delle cartoline, dei giocattoli, delle decorazioni, dei dolciumi, e dei gioielli. In parallelo, il sempre più in espansione sorgere di ferrovie permetteva anche ai cittadini meno abbienti di tornare in famiglia, passando il Natale in compagnia. 

È a questi anni, e a questo nuovo modello , che si deve la nascita di alcuni dei maggiori simboli natalizi, primo fra tutti l’albero di Natale. Il culto delle piante e l’attribuzione agli alberi di una componente simbolica sono antichi quanto l’essere umano, ma la pratica di agghindare un albero durante il periodo natalizio nasce proprio nell’Ottocento. La prima a porre un albero in mezzo al proprio salotto fu una nobildonna tedesca, che ispirò il principe inglese Alberto, simbolo dell’uomo moderno vittoriano, a fare lo stesso. Data la grande fama del Principe e il suo ruolo di modello nell’Inghilterra ottocentesca, la pratica si diffuse in tutte le case inglesi, per poi venire importata dall’America. È negli Stati Uniti che l’albero diventa il simbolo del consumismo natalizio che è oggi: l’entusiasmo degli USA per l’albero di Natale fu travolgente e mise in moto un vero mercato di produzione di massa di alberi di Natale, negli Stati Uniti tutt’oggi dirompente. Presto si diffuse in tutto l’Occidente, e nel Novecento iniziarono a comparire alberi finanche nelle piazze cittadine. 

Un altro simbolo del Natale consumista è quello di Babbo Natale. Per via dei prodigi che gli vengono attribuiti, San Nicola è da sempre tradizionalmente legato ai bambini; la prima descrizione di San Nicola (nei Paesi nordici “Sinterklaas”, da cui “Santa Klaus”) come un vecchio barbuto risale al ’600, ma fu solo nell’Ottocento che si trasformò nel Babbo Natale moderno, il simpatico uomo panciuto che, in sella a una slitta di renne volanti, porta regali a tutti i bambini del mondo. Tale immagine fu poi consolidata dalla Coca-Cola, che la sfruttò per i suoi spot pubblicitari. Lo sviluppo della figura seguì quello dell’azienda (inizialmente Babbo Natale era addirittura vestito di verde, per richiamare il primo logo della Coca Cola) e contribuì in maniera netta ad allargare il nuovo modello di Natale. Con l’ampliamento progressivo della classe borghese e il continuo sviluppo tecnologico, il modello consumistico si affermò in maniera sempre più trasversale e si trasformò in un fenomeno di massa. Il Natale, spinto da multinazionali come Coca-Cola, da tradizioni come l’albero e dalla sempre più massificata produttività industriale, fu una delle sue prime vittime, perché rispondeva perfettamente ai suoi bisogni e si rivolgeva esattamente ai suoi bersagli. 

Nelle località rurali e nei Paesi più poveri o in via di sviluppo, il modello consumistico iniziò a sorgere solo attorno agli anni ’50 del secolo scorso, e i più umili continuarono a festeggiare il Natale all’insegna di sagre e piccoli doni come cibo o, nel migliore dei casi, modesti giocattoli in legno. Nelle grandi città, tuttavia, la macchina era già in moto, e si stava allargando sempre di più; il processo di trasformazione del Natale in una festa consumistica era ormai troppo radicato e perfettamente in linea con il nuovo modello dei consumi di massa, ormai impossibile da fermare.

[di Dario Lucisano] 

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