Il Mozambico è attraversato da una crisi che si fa sempre più profonda, dopo che lunedì la Corte costituzionale ha confermato il risultato delle elezioni del 9 ottobre. I giorni natalizi hanno visto l’esplosione di nuove proteste e la conseguente repressione. Ad oggi, dopo più di due mesi dalla tornata elettorale, il numero dei morti sembra essere tra i 130 e i 150, come riportano Amnesty international e Human rights watch, con la possibilità che siano quasi 100 in più come invece riporta Plataforma Decide, un gruppo di monitoraggio mozambicano, che attesta il conteggio delle vittime a 248. Nell’ultima settimana i morti hanno continuato ad aumentare, solo tra lunedì e martedì, a seguito della sentenza della Corte costituzionale, hanno perso la vita durante le proteste almeno 21 perone e «ci sono stati almeno 236 atti violenti» ha dichiarato il ministro degli Interni Pascoal Ronda.
Il giorno di natale poi, con proteste e scontri all’esterno, è scoppiata una rivolta nel carcere di massima sicurezza di Maputo. La struttura si trova a 14 chilometri dalla capitale e mercoledì mattina i detenuti sono riusciti a impossessarsi delle armi dei secondini sfruttando «il giorno festivo dove le guardie presenti nella struttura sono meno», ha raccontato a South African Broadcasting Corporation il giornalista mozambicano Clemente Carlos. A seguito della rivolta più di 1.500 prigionieri sono riusciti a fuggire e «gli scontri hanno provocato 33 morti e 15 feriti nei pressi della prigione» ha dichiarato il capo della polizia Bernardino Rafael. Secondo la ministra della Giustizia Helena Kida «i disordini sono iniziati all’interno della prigione e non hanno nulla a che fare con le manifestazioni esterne». Però, per il capo della polizia, le proteste iniziate la mattina di mercoledì nella struttura sarebbero conseguenza della presenza, nei dintorni del carcere, di «un gruppo di manifestati sovversivi». Rafael ha aggiunto che le proteste «hanno portato al crollo di un pezzo del muro di cinta, da dove sono fuggiti i prigionieri», come riporta Ap.
Le manifestazioni però non cominciano questa settimana, ma sono iniziate a ridosso della tornata elettorale del 9 ottobre, ancor prima dell’arrivo dei conteggi definitivi, pubblicati il 24 ottobre. Le strade di diverse città del paese dell’Africa australe si sono riempite di giovani cittadini che hanno contestato l’ennesima vittoria del Frelimo, partito al governo da 50 anni. Diversi osservatori indipendenti internazionali e nazionali hanno denunciato irregolarità nei verbali, come il conteggio di voti superiori al numero di elettori, oltre a intimidazioni e acquisti di voti. Il candidato di opposizione del partito Podemos, Venancio Mondlane, ha sempre sostenuto di aver raggiunto il 53% delle preferenze, basandosi sui conteggi fatti dal suo partito, contro il 20% dichiarato dalla Commissione elettorale nazionale. Nei giorni successivi alle votazioni Mondlane ha chiamato più volte la popolazione a scendere in piazza per contestare i risultati elettorali, chiedendo di fermare il paese fino a che non fosse stato riconosciuto il vero vincitore. Poi, dopo gli omicidi dell’avvocato di Mondlane, Elvino Dias, e del rappresentante di Podemos, Paulo Guambe avvenuti il 19 ottobre, il candidato di opposizione ha lasciato il paese dicendo di essere «in pericolo di morte».
Il ricorso alla Corte costituzionale è stato l’ultimo tentativo da parte del partito Podemos di ribaltare il risultato elettorale ma la massima Corte ha deciso diversamente, confermando la vittoria di Daniel Chapo candidato del Frelimo. Mercoledì 18 dicembre, prima della sentenza della Corte costituzionale, Mondlane ha avuto un colloquio di un’ora e mezza, da remoto, con il presidente uscente e segretario del Frelimo, Filipe Nyusi. Un incontro che avrebbe potuto portare a una soluzione, ma che invece non ha fatto altro che inasprire i toni. Mondlane nel pomeriggio dello stesso giorno ha avuto una riunione con gli europarlamentari del gruppo Renew Europe, durante il quale ha espresso la sua sensazione riguardo alla sentenza della Corte costituzionale, che avrebbe confermato la vittoria del Frelimo, e addirittura che Nyusi volesse dichiarare lo stato d’emergenza per poter allungare il suo mandato. Nelle ore successive è arrivata la risposta del presidente uscente che ha rassicurato la popolazione che nulla di quello che era stato detto dal candidato di Podemos sarebbe mai successo.
Mondlane, prima ancora che la Corte costituzionale si pronunciasse, aveva avvertito che la questione era «di vita o di morte» e che l’intera responsabilità per la probabile degenerazione della situazione sarebbe stata tutta nelle mani di Lúcia Ribeiro, la presidente della Corte Costituzionale. Nonostante le parole incendiarie di Mondlane gli fossero costate l’accusa di insurrezione, la pena a pagare 505 milioni allo Stato e il blocco dei conti bancari nel paese, il candidato di opposizione, ancora all’estero, ha dichiarato prima della sentenza di lunedì scorso: «Se abbiamo la verità elettorale, avremo la pace. Se abbiamo le bugie elettorali, faremo precipitare il paese in un precipizio, nel caos, nel disordine» e così è stato.
Un caos che si incomincia a propagare anche alle province più lontane del grande paese africano, come la martoriata provincia di Capo Delgado. La compagnia di estrazione britannica Gemfields, che detiene delle grandi concessioni di estrazione di rubini nella provincia di Capo Delgado, ha denunciato il dilagarsi delle violenze collegate alle elezioni anche nei villaggi vicini alle miniere, affermando martedì in una nota che «gruppi associati all’estrazione e al commercio illegali di rubini hanno approfittato dei disordini politici», come riportato da Reuters. Ma nella regione più settentrionale del Mozambico le violenze legate alle risorse non sono una novità. Infatti, dal 2017, l’esercito sta combattendo con il gruppo terroristico Al-Shabab, legato all’Isis, che ha intenzione di appropriarsi della ricca regione mozambicana.
L’insurrezione jihadista ha provocato lo sfollamento di più di mezzo milione di persone e la morte di diverse migliaia di civili. Con la guerriglia vanno avanti di pari passo anche i progetti multi miliardari di estrazione del gas a qualche decina di chilometri dalla costa di Capo Delgado. Oggi Eni, Total ed Exxon detengono le concessioni sulle due aree di trivellazione, con la compagnia francese che detiene la concessione per il giacimento più grande, per un investimento di quasi 50 miliardi di dollari. La presenza di tutte queste compagnie estere che sfruttano il suolo mozambicano è un altro motivo di malcontento nei confronti del partito di governo che concede enormi concessioni per avere indietro una piccola fetta dei mirabolanti guadagni. Tutto questo mentre il 65% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e la maggior parte della popolazione giovanile, il 56% del totale, non ha un lavoro. In più a settembre è uscita una lunga inchiesta sul quotidiano statunitense Politico, che mostra come le milizie private appaltate da Total Energies, insieme all’esercito mozambicano, si siano macchiati di violazioni dei diritti umani, tra cui esecuzioni extragiudiziali, torture e incendi dolosi durante le operazioni contro i jihadisti. Il CEO di Total, Patrick Pouyanné, ha difeso l’approccio dell’azienda, sostenendo che l’intervento delle forze di sicurezza è stato richiesto per garantire la protezione dei suoi impianti di gas.
Tuttavia, le preoccupazioni sulla complicità dell’azienda nelle violazioni dei diritti umani, così come il crescente disastro umanitario, stanno mettendo a dura prova l’immagine di Total e sollevano interrogativi sulle sue responsabilità. Con l’instabilità politica attuale, fonti di InfoAfrica riferiscono che diverse società internazionali hanno predisposto piani di emergenza per il proprio personale. Più passano i giorni e più sale la tensione che, da un momento all’altro, potrebbe portare a un colpo di mano politico. A Capo Delgado poi le cose possono degenerare come già sta succedendo, con la possibilità dell’apertura di un’altra crisi umanitaria senza precedenti nel continente. Con il popolo che in piazza chiede giustizia e dignità, la classe politica, come ovunque nel mondo, non ascolta e i morti aumentano.
[di Filippo Zingone]