Dopo un anno di crisi commerciale, problemi finanziari, delocalizzazioni e tagli di personale, il fatto che il settore automotive dell’Unione Europea non se la passasse esattamente alla grande era cosa nota a molti. I dati, però, dipingono uno scenario più grigio di quanto non ci si immaginasse: nel 2024 i fornitori europei di componenti per auto hanno perso più di 30.000 posti di lavoro, oltre il doppio rispetto all’anno precedente. A dirlo è un’analisi condotta dall’Associazione europea dei fornitori automobilistici (Clepa) per il Financial Times, in cui vengono sottolineate le conseguenze del rallentamento dell’industria automobilistica del continente. In netto calo anche la creazione di posti di lavoro: dal 2020, in Europa, il settore ha registrato più di 58.000 perdite nette sul fronte occupativo, a fronte di un totale di circa 1,7 milioni di persone impiegate nell’intera area comunitaria.
La ricerca del Clepa è stata pubblicata dal quotidiano economico-finanziario britannico Financial Times giovedì 2 gennaio. Da quanto riporta il giornale, a venire colpite sono state tutte le maggiori aziende produttrici di componenti per automobili europee, dal produttore francese di pneumatici Michelin all’azienda tedesca Bosch. Nell’ultimo anno, la filiera del settore automobilistico ha annunciato migliaia di tagli di posti di lavoro a fronte della drastica riduzione delle vendite di nuovi veicoli da parte dei produttori europei, che hanno lasciato i fornitori con capacità in eccesso e poche prospettive di ripresa delle vendite. Se le aziende più grandi, come le stesse Michelin e Bosch, sono finite per tagliare posti di lavoro e chiudere stabilimenti, le imprese di dimensioni minori sono state costrette a chiudere i battenti, dichiarare bancarotta o insolvenza.
Secondo il Clepa, la crisi del settore è iniziata con la pandemia di Covid-19, per poi essere acuita dalla guerra in Ucraina e dalla conseguente inflazione: tutti questi elementi hanno portato a un progressivo calo della domanda nel settore automobilistico, mentre parallelamente le aziende cinesi rivali hanno continuato a crescere. A causare il crollo della filiera, oltre alla crisi energetica e finanziaria e alla competizione cinese, sembrerebbero essere le stesse regolamentazioni comunitarie: le nuove restrizioni sulle emissioni di carbonio per le case automobilistiche in arrivo nel 2025 e l’obiettivo di passare alle auto elettriche nel 2035 hanno rappresentato una sfida per le aziende che producono motori tradizionali e spinto molti produttori a concentrarsi sulle componenti per vetture a batteria. Eppure, se da un lato l’UE non ha smesso di spingere per l’introduzione e l’adozione di auto elettriche, dall’altro il loro costo elevato ha continuato a limitarne il mercato, mentre i singoli Paesi hanno faticato a erogare sussidi e incentivi per le fasce di popolazione che non possono permettersi di acquistare vetture tante onerose. Tutti questi elementi messi insieme hanno provocato una crisi nelle vendite di quelle aziende che si sono concentrate sul mercato delle componenti per l’elettrico, a tal punto che, riporta il Clepa, nel 2024 sono andati persi 4.680 posti di lavoro legati ai fornitori di auto a batteria, a fronte di 4.450 creati.
Il problema era già stato sollevato svariate volte, per giunta dagli stessi organismi interni all’Unione Europea: introdurre limitazioni che nessuno è in grado di soddisfare non serve a niente. Quello che invece potrebbe servire sono maggiori finanziamenti alla produzione di vetture elettriche, incentivi per la popolazione che non può permettersi questo tipo di veicoli, e investimenti mirati nell’intera filiera produttiva e di approvvigionamento, nei servizi, nelle infrastrutture, nella formazione di lavoratori qualificati, nella ricerca. In mancanza di questi elementi, l’addio alla benzina è un miraggio, mentre una ipotetica crisi, la cronaca di una morte annunciata: a febbraio, Forvia, un produttore di cruscotti, pannelli di porte e sistemi di scarico, ha dichiarato che entro il 2028 taglierà 10.000 posti di lavoro in Europa, dove conta oltre 75.000 lavoratori; a ottobre, anche Volkswagen ha certificato la propria crisi, annunciando la chiusura di tre stabilimenti e rischiando di generare decine di migliaia di licenziamenti; a novembre, Michelin ha dichiarato che avrebbe chiuso due fabbriche francesi che producono pneumatici per camion e furgoni, tagliando 1.200 dipendenti; Stellantis, infine, è stata al centro di una crisi di dimensioni non indifferenti, che ha portato anche alle dimissioni di Tavares, e che è stata frenata solo grazie alla mobilitazione dei lavoratori.
[di Dario Lucisano]
Tranquilli le auto non servono ad ammazzate i Russi, tra un po’ ve le tolgono tutte.