Nel 2023, la spesa sanitaria privata in Italia ha superato i 43 miliardi di euro, con un incremento del 7% rispetto al 2022 e del 24% rispetto al 2019, secondo il rapporto della Ragioneria generale dello Stato. Parallelamente, la spesa sanitaria pubblica è cresciuta solo del 2% rispetto al 2022 e del 13,6% rispetto al 2019, raggiungendo i 132,8 miliardi di euro. Si tratta della dimostrazione plastica di come, nonostante le rassicurazioni governative, gli investimenti nella sanità pubblica non siano sufficienti a garantire il mantenimento degli standard di assistenza, costringendo sempre più spesso i cittadini ad aprire il portafogli per ottenere visite e cure.
Come racconta il report, nel decennio 2014-2023, la spesa sanitaria pubblica è aumentata a un ritmo medio del 2% annuo, accelerando durante la pandemia di Covid-19 con un picco del 5,4% nel 2020. Tuttavia, negli ultimi anni, il tasso di crescita si è stabilizzato, influenzato dai rincari delle fonti energetiche e risentendo meno degli oneri emergenziali. Parallelamente, la spesa privata è cresciuta a un ritmo estremamente più sostenuto, riflettendo l’enorme difficoltà del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) nel soddisfare pienamente la domanda di prestazioni sanitarie. Il fenomeno è ulteriormente aggravato dall’aumento dei costi sostenuti dai cittadini per l’acquisto di farmaci e prestazioni private, spesso conseguenza di lunghe liste d’attesa nel sistema pubblico. Nel periodo 2014-2023, la spesa farmaceutica diretta ha registrato un incremento medio annuo del 5,7%, con un’impennata del 13,9% solo nell’ultimo anno. Le difficoltà del SSN sono evidenti anche nei conti delle regioni: nel 2023 il disavanzo complessivo ha toccato 1,85 miliardi di euro, il valore più alto degli ultimi dieci anni. Ben 14 regioni hanno registrato bilanci negativi, costringendole a tagliare su altre voci di spesa extra-sanitarie per coprire il deficit. Calabria e Umbria sono le uniche ad aver registrato una contrazione della spesa sanitaria pubblica, rispettivamente del 4,3% e dello 0,6%.
I numeri della legge di bilancio del Governo Meloni hanno certificato i tagli alla sanità pubblica: gli stanziamenti per il Fondo sanitario nazionale sono infatti scesi sotto il 6% del Pil entro tre anni, dal 6,3% del 2024 al 5,9% del 2027. Storicamente, anche i governi precedenti hanno ridotto i finanziamenti alla Sanità. Tra il 2010 e il 2019, infatti, il sistema sanitario ha subito un “definanziamento” di oltre 37 miliardi di euro. L’unica eccezione si è avuta durante la pandemia con il secondo governo Conte, con l’aumento dei fondi durante la pandemia. Alla luce dei vincoli di bilancio e delle trasformazioni demografiche, la Ragioneria Generale dello Stato ha evidenziato la necessità di un monitoraggio più efficace dei costi e della qualità delle prestazioni erogate. Il crescente ricorso al settore privato e l’aumento della spesa out of pocket sollevano infatti molteplici interrogativi in ordine all’equità del sistema sanitario nazionale. Se la tendenza attuale dovesse continuare, il rischio è di accentuare le già palpabili disuguaglianze nell’accesso alle cure, penalizzando le fasce più deboli della popolazione.
A lanciare l’allarme sul pessimo stato di salute del Servizio Sanitario Nazionale era già stato, lo scorso ottobre, un importante rapporto della Fondazione GIMBE. Il report aveva attestato che nel 2023 – tra tempi di attesa infiniti e difficoltà di accesso alle strutture sanitarie – circa 4,5 milioni di italiani hanno dovuto rinunciare a visite mediche e cure specialistiche, rilevando inoltre come il SSN soffra un deficit di oltre 52 miliardi rispetto agli standard europei. La situazione è particolarmente grave nel Sud Italia, dove solo Puglia e Basilicata rispettano i Livelli essenziali di assistenza (LEA). A complicare ulteriormente il quadro, tra mancate assunzioni e fughe dall’Italia, la grave carenza di personale sanitario: il SSN ha perso tra il 2019 e il 2022 oltre 11 mila medici e il numero degli infermieri, attualmente 6,5 per mille abitanti, resta drammaticamente basso.
[di Stefano Baudino]
Con tutti i Russi che sono stati ammazzati dalle nostre armi, direi che meriteremmo molto peggio.