Apple ha accettato di pagare 95 milioni di dollari per risolvere una class action che l’accusa di spiare illecitamente i propri clienti. Al centro delle contestazioni c’è Siri, l’assistente vocale dell’azienda, la quale, secondo le denunce, avrebbe intercettato in modo illegittimo le conversazioni private degli utenti, inviandone le registrazioni a realtà esterne. In sostanza, gli strumenti Apple sono accusati di fare ciò che molti temono e che le Big Tech negano con forza: ascoltare tutto, a propria discrezione.
Secondo quanto anticipato da Reuters, la bozza dell’accordo è stata depositata il 31 dicembre presso il tribunale federale di Oakland, California, ed è ora in attesa dell’approvazione definitiva da parte del giudice distrettuale Jeffrey White, il quale dovrà definirne bontà e proporzionalità. L’intesa prevede che i cittadini statunitensi possano richiedere un risarcimento fino a 20 dollari per ciascun dispositivo Apple in loro possesso e in cui sia stato attivato l’assistente vocale, per un massimo di cinque dispositivi a persona. Per accedere al risarcimento, gli utenti dovranno dunque dichiarare sotto giuramento di aver attivato Siri accidentalmente, ovvero di essere stati al centro di registrazioni che avrebbero dovuto rimanere confidenziali e che invece sono finite a portata di sconosciuti.
Anche ammesso che 20 dollari possano rappresentare un valore adeguato per compensare la privacy e la fiducia tradite, appare improbabile che gli utenti riescano effettivamente a ricevere una simile somma. Il risarcimento è teoricamente destinato a tutti i possessori di iPhone, iPad, Apple Watch, MacBook, iMac, HomePod, iPod touch e Apple TV immessi sul mercato tra il 17 settembre 2014 e il 31 dicembre 2024: qualora i proprietari di questi dispositivi decidessero di richiedere in massa il riscatto, è prevedibile che l’importo effettivamente erogato a ciascun utente finirà con l’essere di gran lunga inferiore al massimale indicato nei documenti ufficiali. Inoltre, il patteggiamento stabilito esclude qualsiasi ammissione di colpa da parte dell’azienda, lasciando le accuse allo stato di semplici asserzioni, senza riconoscere alcuna responsabilità concreta alla Big Tech.
Questa class action ha avuto origine da un’inchiesta del The Guardian risalente al 2019. Nel reportage, il giornalista Alex Hern era riuscito a entrare in contatto con alcuni operatori di aziende subappaltatrici di Apple, i quali hanno affermato di aver “ascoltato regolarmente informazioni mediche confidenziali, conversazioni legate allo spaccio di droga e registrazioni di coppie durante rapporti sessuali” in occasione del processo di controllo qualità di Siri. Siri e gli omologhi assistenti vocali prodotti dalla concorrenza dovrebbero attivarsi esclusivamente quando viene pronunciata la parola chiave che ne abilita i microfoni, tuttavia questi strumenti sono spesso accusati di essere eccessivamente sensibili a stimoli sonori casuali, come uno starnuto o il rumore di una zip che si chiude.
Secondo l’accordo depositato, Apple sarà tenuta a eliminare tutte le registrazioni effettuate da Siri precedenti all’ottobre 2019 e a creare una pagina web dedicata, volta a spiegare in modo più chiaro il funzionamento dell’opzione “Migliora Siri”, la funzione che consente all’azienda di salvare e far analizzare ad agenti esterni un estratto audio delle interazioni avvenute con l’assistente vocale. È importante sottolineare che tale pratica non è esclusiva di Apple: anche Google e Amazon si affidano a realtà subappaltatrici per analizzare l’efficacia dei reciproci assistenti vocali, una tendenza che solleva inevitabilmente interrogativi sulla proporzionalità tra il livello di invasione della privacy e i benefici ottenuti nel miglioramento del servizio.
[di Walter Ferri]
Il Grande Fratello è oramai una realtà evidente.