martedì 7 Gennaio 2025

“Noi non archiviamo”: la battaglia per la verità della famiglia di Mario Paciolla

Il 14 gennaio si terrà presso il Tribunale di Roma l’udienza per l’archiviazione del caso riguardante la morte di Mario Paciolla. Un’archiviazione per suicidio, la seconda, che sa di fuga, nei confronti di una vicenda complessa che merita invece verità e giustizia. Mario Paciolla era un cooperante ONU, che lavorava in Colombia per garantire l’applicazione degli accordi di pace tra il governo e i guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC). Il 15 luglio del 2020 il corpo di Mario venne ritrovato senza vita presso la sua abitazione, a San Vicente del Caguán. Da allora una serie di depistaggi, silenzi e inerzie ha montato un caso complesso, che coinvolge un Paese straniero e la massima organizzazione internazionale. Di fronte a ciò la famiglia Paciolla non si è arresa e continua a chiedere giustizia per il proprio figlio – parente a tutti coloro che credono nella verità e nella libertà – oltre a una scorta mediatica in vista del 14 gennaio, quando si deciderà sulla seconda istanza di archiviazione.

Mario era un amante della vita. Così Anna e Pino sono soliti ricordare il proprio figlio nei tanti incontri organizzati tra scuole, università, festival e luoghi di attivismo per raccontare la sua storia, il suo impegno, le sue passioni. Momenti di respiro in una narrazione frenetica, che tende a comprimere lo spazio e il tempo per l’empatia a favore della fagocitosi delle notizie. Dietro ai nomi letti o ascoltati, spesso di sfuggita, ci sono volti e storie. Quella di Mario Paciolla ha come protagonista un ragazzo che dopo essersi laureato segue un corso delle Brigate internazionali di Pace (PBI), un’organizzazione nonviolenta che offre protezione ai difensori dei diritti umani nelle zone a rischio del pianeta, e inizia a interessarsi alla Colombia, trasferendosi a Bogotà l’anno seguente, nel 2016. È un periodo particolarmente delicato per il Paese latinoamericano, coinvolto in una pluridecennale guerra civile. A novembre viene raggiunto un accordo di pace tra il governo colombiano e le FARC, la principale organizzazione guerrigliera del Paese. Sforzi diplomatici si registrano anche con l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), che non portano però a un cessate il fuoco (ancora oggi la pace tra le parti non è stata raggiunta e il tira e molla continua).

Dopo due anni di volontariato con le PBI, Mario Paciolla inizia nel 2018 la collaborazione con le Nazioni Unite come osservatore degli accordi di pace raggiunti tra il governo e le FARC. Un lavoro delicato, difficile, che tra le altre cose lo mette a conoscenza di un evento drammatico avvenuto nell’agosto 2019, quando un bombardamento dell’esercito colombiano colpisce l’accampamento di Rogelio Bolivar Cordova, a capo di una cellula di dissidenti delle FARC che non aveva accettato il disarmo stabilito dagli accordi di pace.

Mario indaga, rende onore alla sua professione di giornalista e collabora a un dossier scottante: nell’attacco sono morti sette minorenni. Si alza un polverone intorno al governo colombiano, che aveva tenuto nascosto il dettaglio, fino a causare le dimissioni del ministro della Difesa Guillermo Botero. La scoperta, secondo le indagini condotte dal giornale El Espectador e dalla giornalista Claudia Julieta Duque, sarebbe collegata alla morte di Mario Paciolla: un omicidio e non un suicidio, come invece sostenuto dalla giustizia colombiana e dalla Procura di Roma, in accordo con le Nazioni Unite che sul caso hanno imposto il massimo silenzio tra i dipendenti, soprattutto fra coloro che conoscevano o hanno lavorato con Mario. Persone che dopo aver ricevuto l’immunità diplomatica dall’ONU sono diventate irreperibili, sparite anche dai social network.

Nel settembre 2022, in Colombia, la morte di Mario Paciolla viene archiviata per suicidio. Un mese dopo la Procura di Roma giunge allo stesso esito, che il giudice di Roma però respinge, sostenendo che l’ipotesi del suicidio non è logica perché presta il fianco a molti sospetti. Vengono così disposte nuove indagini, ma i pubblici ministeri non cambiano idea e a giugno 2024 avanzano la seconda richiesta di archiviazione. Il prossimo appuntamento giudiziario è fissato per il 14 gennaio, alle ore 9, a Piazzale Clodio. È ancora attiva la raccolta di informazioni utili alle indagini presso la piattaforma GlobaLeaks.

I punti che non tornano in questa vicenda sono tanti. Lo ricordano in ogni occasione utile i genitori di Mario, che si sono avvalsi nel tempo di perizie tecniche a sostegno della loro battaglia. Nelle conclusioni dell’autopsia effettuata sul corpo del trentatreenne, il medico legale Vittorio Fineschi scrive: “Vale il conto, tuttavia, di precisare che talune evidenze – non trovando spiegazione alternativa nell’ambito dell’ipotesi suicidaria – sostengono in maniera prevalente l’ipotesi dello strangolamento con successiva sospensione del corpo”. Riguardo ai tagli sui polsi afferma: “le evidenze riscontrate nell’ambito della vitalità non consentono di escludere in termini di ragionevole certezza la possibilità che le lesioni siano venute a prodursi in limite vitae o addirittura post-mortem”.

Sproporzionata ai tagli è poi la quantità di sangue trovata nella stanza di Mario, oggetto, come tutta l’abitazione, di una celere pulizia che ha alterato il luogo del ritrovamento e fatto sparire le agende del trentatreenne napoletano. A coordinare l’operazione è Christian Leonardo Thompson, il responsabile della sicurezza della missione ONU, denunciato per depistaggio dalla famiglia Paciolla insieme a un altro collega e a quattro poliziotti colombiani.

I punti che non tornano si aggiungono alla paura avvertita da Mario negli ultimi giorni di vita. Ai genitori racconta di problemi seri, in una telefonata risalente all’11 luglio dice che “gliela faranno pagare”. La versione è confermata dall’ex compagna, Ilaria Izzo, secondo cui Mario Paciolla si sentiva tradito e spiato dallo staff dell’ONU. Il giovane cooperante compra così un biglietto per tornare in Italia. Vista la pandemia di Covid-19, deve avvertire le Nazioni Unite per ottenere i documenti necessari a viaggiare su un volo umanitario. La valigia è pronta, alla mamma l’avviso di fargli trovare le freselle al suo arrivo. Passano poche ore e la vita di Mario si spezza.

Alla luce di quanto emerso l’archiviazione per suicidio assume la forma di una scorciatoia, che vorrebbe dire negare a una famiglia già segnata dal dolore il diritto a ottenere verità e giustizia. Due scopi che rischiano di essere sacrificati sull’altare delle relazioni amichevoli, quindi economiche, tra Paesi, e del pieno disinteresse verso l’operato della massima organizzazione internazionale.

[di Salvatore Toscano]

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1 commento

  1. Vedremo, tanti delitti si coprono come suicidi.
    Rimane che tutti dovrebbero capire che il male esiste veramente e farselo entrare nella testa, perché facendoci entrare nella testa che il male esiste veramente, diventa semplice capire che non va contrastato individualmente o vince lui, occorrono soldati inquadrati per scelta di tutta una vita per combattere il male come i Carabinieri o la Polizia o rare persone eccezionali, tutti gli altri di fronte al male per prima cosa devono evitare di diventarne vittime con la prudenza e con il non mettersi in vista come vittime.

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