NABLUS, PALESTINA OCCUPATA – Sono centinaia le persone che si sono radunate ieri, 6 gennaio, per rendere omaggio a Moataz Ahmed Abdul Wahab Madani, il diciassettenne ucciso con un proiettile al petto durante un’incursione israeliana nel campo profughi di Askar Al-Jadeed alla vigilia dell’epifania. Almeno sei i feriti da arma da fuoco e decine gli arresti nella stessa giornata, durante la quale i militari israeliani hanno effettuato raid sia nella città vecchia che nei due campi profughi di Nablus, lanciando lacrimogeni, bombe stordenti e sparando proiettili.
Il corteo funebre è arrabbiato e avanza veloce lungo le strade che dal centro di Nablus conducono al campo profughi dove il giovane viveva. I partecipanti gridano slogan contro l’occupazione e invocano Allah, accompagnando il corpo alla casa della famiglia per un ultimo saluto. Lì, decine di donne si stringono intorno alla madre e alla sorella. Tutti si zittiscono mentre, per alcuni minuti, riecheggiano solo i pianti e la disperazione della famiglia dell’ennesimo palestinese ucciso da Israele.
Le grida di dolore risuonano lungo la stretta via di quel campo, costruito nel 1950, che oggi ospita quasi 25.000 discendenti dei profughi della Nakba, l’esodo palestinese seguito alla fondazione di Israele.
Sale così a 839 il bilancio totale dei morti in Cisgiordania dal 7 ottobre 2023, inclusi 173 bambini, secondo i dati raccolti dall’International Middle East Media Center (IMEC) l’IMEMC. È il bilancio più grave mai registrato nella storia dei Territori occupati. Circa 7.000 i feriti in 14 mesi, 10.300 le persone arrestate.
La marcia funebre riprende, accompagnata da spari in aria per rendere omaggio a quello che tutti chiamano il nuovo martire della lotta di liberazione. La resistenza armata si manifesta: alcuni giovani armati di M-16 esprimono solidarietà alla famiglia di Ahmed con raffiche di mitra. Il corpo del ragazzo, avvolto in una bandiera palestinese, viene portato fino alla moschea, dove il corteo si ferma per una preghiera. All’esterno, alcuni studenti della sua scuola srotolano uno striscione in suo onore: “L’amministrazione della scuola Maohamad Ameen Alsaadi piange l’eroe martire Motaz Ahmad Madani, uno degli studenti dell’11° anno della sezione letteraria”.
Ahmad è la 95ª vittima della città, dopo che Nablus aveva appena finito di piangere il diciottenne Muhammad Medhat Amin Amer, ucciso sabato 4 gennaio durante un’altra incursione nel campo profughi di Balata. Quattro delle nove persone ferite restano in “condizioni critiche” a seguito di quel raid, durante il quale anche alle ambulanze è stato impedito di soccorrere i feriti.
Non si fermano, ma aumentano gli attacchi dei militari di Tel Aviv in tutta la Cisgiordania, dove ogni giorno si registrano nuovi morti, feriti e arresti in quella che è, a tutti gli effetti, una guerra a “bassa intensità” che Israele porta avanti in modo parallelo al genocidio in corso sui palestinesi che vivono a Gaza.
Dal 7 ottobre è in crescita anche il numero di violenze commesse dai coloni israeliani contro la popolazione palestinese, specialmente nelle aree limitrofe agli insediamenti illegali e nelle regioni intorno a Hebron e nella Valle del Giordano. Qui gli attacchi sono quotidiani e includono demolizioni di case, minacce, furti di bestiame e sabotaggi delle infrastrutture palestinesi. I circa 700.000 coloni sono stati ampiamente armati da Tel Aviv dopo il 7 ottobre, in una strategia che sembra perseguire una vera e propria pulizia etnica anche in Cisgiordania.
Riprendono gli slogan e i cori. Il corteo funebre ricomincia il suo cammino verso il cimitero del campo profughi. Nell’aria rimane la rabbia e il dolore per l’ennesimo figlio del campo ucciso.
[testo e immagini di Moira Amargi, corrispondente dalla Palestina]