giovedì 9 Gennaio 2025

Strage di Bologna, i giudici non hanno dubbi: “Bellini portò la bomba e Gelli la finanziò”

Fu Paolo Bellini, ex terrorista di Avanguardia Nazionale, a portare alla stazione di Bologna la bomba che, il 2 agosto 1980, provocò 85 morti. Una strage tremenda, finanziata dal capo della loggia massonica deviata P2 Licio Gelli, responsabile anche del depistaggio delle indagini sull’eccidio. È questo il fulcro delle motivazioni della sentenza con cui la Corte d’Assise d’Appello di Bologna, lo scorso luglio, aveva stabilito la condanna all’ergastolo per il killer Bellini – già arrivata in primo grado -, considerato uno dei principali punti di tramite fra eversione nera, servizi deviati e criminalità organizzata. L’uomo avrebbe agito assieme agli ex NAR Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini (già definitivamente condannati) e all’ex NAR Gilberto Cavallini (su cui pende un ergastolo in primo e secondo grado per concorso nella strage). Il capo della P2, Licio Gelli, l’uomo d’affari Umberto Ortolani, l’ex capo dell’ufficio Affari riservati del Viminale, Federico Umberto D’Amato, e il senatore missino Mario Tedeschi sono stati individuati come mandanti, finanziatori e organizzatori dell’attentato che ha insanguinato il capoluogo emiliano.

Il fallito alibi

Nelle motivazioni del verdetto si legge che, dal quadro probatorio, emerge «con assoluta certezza» la piena colpevolezza di Bellini «in ordine agli orrendi delitti a lui contestati». Bellini fu infatti ripreso il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna da un filmato amatoriale girato dal turista Harald Polzer, che ne ha attestato la presenza in loco pochi minuti dopo l’esplosione. Maurizia Bonini, ex moglie dell’imputato, ha identificato proprio in Bellini l’uomo ripreso dal filmato a camminare nell’area del binario 1 della stazione. Ulteriori testimonianze avrebbero poi indicato la presenza di Luciano Ugoletti, simpatizzante di estrema destra, «nelle immediate vicinanze della stazione subito prima dello scoppio della bomba», facendo emergere «la concreta possibilità» che Ugoletti avesse avuto come specifico compito quello di «sorvegliare l’auto del Bellini», parcheggiata nelle immediate vicinanze della stazione, al cui interno c’era Daniela, la piccola nipote di Bellini. La presenza della bambina ha costituito un elemento «essenziale» per la costruzione di un «fortissimo alibi»: Bellini, infatti, «diverse ore prima della strage» si fece consegnare «da terze persone lontane da Bologna» la nipote, con la quale «si è poi fatto vedere da altre persone dopo la strage ancora lontano da Bologna». Secondo i giudici, si trattò di un alibi «raffinatissimo, organizzato dettagliatamente nei minimi particolari ed eseguito altrettanto abilmente anche nei minimi dettagli», poi rivelatosi falso soprattutto «per una circostanza assolutamente fortuita e imprevedibile», ovvero il video girato dal turista straniero «per ricordo famigliare».

Una strage di Stato

Per i magistrati, il capo della P2 Licio Gelli è «il consapevole finanziatore della strage di Bologna», circostanza che «spiega il movente dell’attività calunniosa e depistatoria da lui posta in essere, unitamente ad alti funzionari dello Stato, proprio in relazione alla strage di Bologna». La Corte ricorda infatti che Gelli, insieme a Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte e Francesco Pazienza, è già stato condannato definitivamente per il reato di calunnia per l’operazione di depistaggio sulle indagini della strage, «che aveva il preciso fine di evitare che le indagini potessero svelare il suo personale coinvolgimento, oltre il coinvolgimento di altissimi funzionari dello Stato, nella strage». La Corte sottolinea che «senza ombra di dubbio alcuno non solo sono provati i rapporti diretti tra Licio Gelli e Federico Umberto D’Amato e Stefano Delle Chiaie, ma anche quelli tra quest’ultimo e l’imputato, entrambi militanti nella formazione di destra eversiva Avanguardia Nazionale». I giudici mettono nero su bianco che «i mandanti, gli organizzatori, i finanziatori e gli esecutori materiali hanno condiviso l’obiettivo di fondo di compiere una strage», ma mentre «i mandanti, gli organizzatori, i finanziatori ed alcuni degli esecutori materiali hanno agito con lo scopo di eversione dell’ordinamento democratico e di destabilizzazione delle istituzioni dello Stato», alcuni fra gli esecutori materiali, come appunto Bellini, «potrebbero aver agito anche perseguendo soltanto propri specifici ed ulteriori obiettivi, vale a dire un rilevante compenso economico nonché continuare ad avere “coperture” e “protezione” ad opera di apparati deviati dello Stato, coperture e protezioni pacificamente acclarate in favore di Paolo Bellini, sia prima che dopo la strage di Bologna».

Bellini e la mafia

La figura di Bellini aleggia anche su un altra delicata inchiesta in corso alla Procura di Firenze – che sta indagando sui mandanti esterni delle stragi del 1993 – in cui l’ex ufficiale del ROS Mario Mori è accusato di strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico. Le strade di Bellini e Mori si incontrarono indirettamente nel ’92, quando il maresciallo dei carabinieri Roberto Tempesta – amico e uomo di Mori –, inviò Bellini in qualità di infiltrato per lo Stato dai membri di Cosa Nostra, con l’obiettivo di recuperare alcune opere d’arte rubate dalla pinacoteca di Modena. Bellini si interfacciò con il boss Nino Gioè, uomo “cerniera” tra mafia e servizi, con cui aveva stretto rapporti nel carcere di Sciacca nel decennio precedente. Gioè propose a Bellini uno “scambio”, fornendogli un biglietto contenente i nomi di cinque importanti mafiosi allora detenuti e chiedendo per loro «arresti domiciliari o ospedalieri» per la buona riuscita della trattativa. Il biglietto finì nelle mani del generale Mori, che non informò nessuno della vicenda, decidendo invece di distruggere il manoscritto e ordinando a Tempesta di non redigere alcuna relazione scritta. La magistratura ha già accertato la presenza di Bellini ad Enna nel ’91, dove la Cupola di Cosa Nostra organizzò le riunioni in cui deliberò la strategia stragista consumatasi negli anni a venire con gli attentati del ’92 e ’93. La Procura sostiene che Mori sarebbe «stato informato già nell’agosto 1992, dal maresciallo Roberto Tempesta del proposito di Cosa Nostra, veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini, di attentare al patrimonio storico, artistico e monumentale italiano». Mori, secondo i pm (ma siamo ancora solo in fase di indagine), non avrebbe impedito «mediante doverose segnalazioni o denunce, ovvero con l’adozione di autonome iniziative investigative o preventive» il verificarsi degli attentati.

[di Stefano Baudino]

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