Secondo un’analisi realizzata dall’Unione internazionale per la conservazione della natura e pubblicata sulla rivista Nature, il 24% delle specie animali d’acqua dolce presenti nel mondo è ad alto rischio di estinzione. La ricerca, condotta dalla IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura), si basa sull’analisi complessiva di 23.496 specie, mettendo in luce una crisi spesso ignorata. Le principali minacce all’esistenza della fauna d’acqua dolce derivano da inquinamento, soprattutto di origine agricola, presenza di strutture come dighe e invasione di specie aliene. Tra le aree più colpite vi sono il lago Vittoria, il lago Titicaca, lo Sri Lanka e i Ghati occidentali in India, regioni che ospitano molte specie endemiche. Anche i sistemi idrici sotterranei rivelano una biodiversità più minacciata del previsto, come dimostrato dall’alto numero di gamberi a rischio in Nord America.
Tra le specie ad alto rischio estinzione figurano animali iconici come l’anguilla europea e il gambero di fiume, ma anche moltissimi molluschi e invertebrati di cui si conosce poco a causa della carenza di studi. Secondo i dati, il 30% dei crostacei decapodi, il 26% dei pesci e il 16% delle libellule è a rischio. Dal 1.500 a oggi, almeno 89 specie d’acqua dolce si sono estinte, e altre 178 potrebbero aver subito la stessa sorte. Le cause del declino sono molteplici e interconnesse: inquinamento, cementificazione, costruzione di dighe, prelievo eccessivo di acqua, cambiamenti nell’uso del suolo, specie invasive e malattie. L’inquinamento, derivante principalmente da agricoltura e silvicoltura, colpisce oltre la metà delle specie minacciate, mentre le dighe bloccano le rotte migratorie di molti pesci. Habitat unici, come quelli caratterizzati da rocce calcaree, sono particolarmente vulnerabili, subendo pressioni estreme per sfruttamento e inquinamento. Un approccio frammentario nella gestione degli ecosistemi peggiora la situazione. Fiumi, laghi e zone umide non sono entità isolate, ma parti di un complesso sistema interconnesso che include bacini idrografici, piane alluvionali e variazioni stagionali dei livelli idrici.
Mentre la situazione delle altre specie terrestri riceve attenzione, quella degli animali d’acqua dolce resta invece in gran parte trascurata. «Finora, le politiche ambientali e le definizioni delle priorità di conservazione sono state stabilite soprattutto sulla base dei dati relativi ai tetrapodi terrestri – si legge all’interno dello studio –. Abbiamo le prove che questi dati non sono sufficienti a rappresentare le esigenze delle specie di acqua dolce né a raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati in fatto di biodiversità». Lo studio invita a cambiare rotta, proponendo soluzioni come il ripristino dei corsi naturali dei fiumi, la riduzione dell’inquinamento e la rimozione di dighe obsolete. Queste misure, oltre a proteggere la biodiversità, migliorano la gestione dei rischi idrogeologici e il benessere umano. Secondo IUCN, l’inclusione delle specie d’acqua dolce nelle strategie di conservazione è infatti essenziale per tutelare ecosistemi fondamentali sia per la natura sia per le persone. «La mancanza di dati non può più essere una scusa per l’inazione», ha dichiarato Catherine Sayer, principale autrice dello studio.
[di Stefano Baudino]