Sono stati ricostruiti i livelli di CO2 atmosferica di circa 300 milioni di anni fa e ciò ha permesso di stabilire una correlazione tra attività vulcanica, riscaldamento globale e scioglimento delle calotte polari, legame che potrebbe risultare persino utile per creare nuovi modelli predittivi in futuro. A rivelarlo è un team internazionale composto anche da ricercatori italiani della Statale di Milano e della Sapienza di Roma, i quali hanno spiegato di aver ricostruito per la prima volta un arco temporale di 80 milioni di anni e di aver inserito i risultati in uno studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato su Nature Geoscience. La scoperta è avvenuta grazie all’analisi di brachiopodi, i quali hanno permesso poi di costruire modelli matematici avanzati che hanno riscontrato la correlazione cercata. «I fossili e le caratteristiche geochimiche dei loro resti sono una preziosa fonte di informazioni, che ci permette di ricostruire il clima e gli ambienti in cui questi organismi sono vissuti, anche nel tempo profondo, e confrontare questi dati con i cambiamenti attualmente in atto», ha affermato la professoressa della Statale Lucia Angiolini, che è anche coautrice della ricerca.
Durante la sua lunga storia, la Terra ha attraversato profondi cambiamenti climatici, alternando glaciazioni estese a periodi di riscaldamento globale che hanno trasformato il pianeta e influenzato l’evoluzione della biodiversità. Una delle glaciazioni più estese si verificò nel tardo Paleozoico, circa 300 milioni di anni fa, seguita da un’intensa fase di riscaldamento che portò quasi alla totale scomparsa dei ghiacciai e delle calotte polari. Questo periodo di transizione, spiegano gli scienziati, ebbe conseguenze significative sull’ecosistema, influenzando profondamente la biodiversità e la composizione degli oceani. Tuttavia, la ricerca in questo settore ha un limite: studiare questi fenomeni remoti non è semplice, poiché i metodi tradizionali – come l’analisi delle bolle d’aria intrappolate nel ghiaccio – permettono di indagare il clima del passato solo fino a circa 800 mila anni fa. Per superare questa limitazione, i ricercatori hanno analizzato fossili di brachiopodi, invertebrati marini molto diffusi durante il Paleozoico, sfruttando la loro capacità di registrare informazioni chimiche sull’ambiente in cui vivevano. «Mentre l’organismo cresce, la sua conchiglia si espande ed incorpora numerosi elementi e composti chimici che vanno a costituire una sorta di archivio per tutto il suo ciclo vitale. Infatti è noto come le conchiglie siano legate alla composizione dell’acqua marina e alla variazione di molteplici parametri tra cui la temperatura e l’acidità (pH)», ha spiegato il docente della Sapienza Claudio Garbelli, anche lui coautore dello studio.
Analizzando il carbonato di calcio delle conchiglie fossili e utilizzando modelli matematici avanzati, gli autori hanno sviluppato una metodologia innovativa che ha permesso di misurare i livelli di CO2 atmosferica tra 340 e 260 milioni di anni fa e di studiare eventuali correlazioni. Secondo i pattern registrati, bassi livelli di CO2 erano associati a estese calotte polari, mentre un aumento significativo di CO2 – dovuto all’attività vulcanica – coincise con il declino dei ghiacciai e un aumento della temperatura media degli oceani fino a 4 gradi Celsius. Per quanto riguarda le limitazioni dello studio, nonostante si ritenga che l’anidride carbonica svolga «un ruolo fondamentale nella regolazione del clima terrestre», è fondamentale sottolineare che la ricerca ha riscontrato correlazione e non ha stabilito con certezza un nesso di causalità, per il quale – come spiegato anche in altre ricerche simili – servirebbero analisi molto più approfondite che tengano in considerazione gli impatti di tutte le eventuali variabili apparenti. In tutti i casi, concludono gli autori, lo studio evidenzia l’importanza dei fossili come veri e propri archivi di dati e di informazioni utili per comprendere le dinamiche passate, oltre che quella delle informazioni ottenute e del loro potenziale per costruire in futuro nuovi modelli predittivi.
[di Roberto Demaio]