lunedì 13 Gennaio 2025

Il governo usa gli scontri per Ramy come scusa per accelerare sul ddl Repressione

In seguito agli scontri avvenuti in varie città italiane durante la manifestazione in solidarietà a Ramy Elgaml, 19enne di origine egiziana morto a Milano lo scorso 24 novembre durante un inseguimento dei carabinieri, il governo spinge sull’acceleratore per la rapida approvazione del dibattuto DDL Sicurezza. Nelle ultime ore, la maggioranza sta infatti evidentemente cercando di sfruttare come pretesto i disordini che hanno coinvolto vari gruppi di manifestanti e forze dell’ordine per centrare l’obiettivo nel più breve tempo possibile. Presentato come un provvedimento necessario per proteggere l’ordine pubblico, il disegno di legge è però da tempo al centro di aspre polemiche per i concreti rischi che comporta sulla difesa delle libertà fondamentali, contemplando misure ispirate a logiche esclusivamente repressive che nulla hanno a che vedere con la tutela della sicurezza collettiva.

Il DDL Sicurezza si trova all’esame delle commissioni del Senato, i cui lavori riprenderanno questa settimana. In particolare, a spingere per accelerarne l’approvazione, nell’Esecutivo, sono stati il vicepremier Matteo Salvini, il ministro della Difesa Guido Crosetto e il sottosegretario leghista all’Interno Nicola Molteno, il quale ha dichiarato che il DDL sarebbe «l’unico strumento oggi in grado di tutelare e difendere il sacrificio di servizio e dedizione delle nostre Forze di Polizia». Eppure, con la scusa dell’auspicata “protezione” delle forze dell’ordine, si andrebbe ad approvare un testo estremamente eterogeneo, che accorpa in 38 articoli questioni assai diverse tra loro ed estranee alla tutela di chi è in divisa. Tra le misure più controverse vi è l’introduzione del carcere per chi partecipa a blocchi stradali o ferroviari – norma che colpisce duramente il diritto alla protesta pacifica -, la criminalizzazione delle occupazioni abusive, che da illecito civile diventano reato penale, e l’aggravante per i reati commessi in prossimità di stazioni ferroviarie, metropolitane o sui mezzi pubblici. Altro punto assai critico concerne la stretta sulla cannabis light – che vieta la coltivazione e la vendita di prodotti derivati dalla canapa, penalizzando un intero settore industriale e mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro – come anche la misura che rende facoltativo per il giudice il rinvio della pena per detenute madri in gravidanza o con figli piccoli. Per non parlare della misura che autorizza gli 007 non solo a infiltrarsi in organizzazioni criminali e terroristiche, ma addirittura a dirigerle, legittimando gravissimi reati quali associazione sovversiva, terrorismo interno e banda armata, contro cui si è espresso anche il coordinamento dei familiari delle vittime delle stragi di mafia e terrorismo.

Vero è che il DDL Sicurezza introduce una serie di misure che, sulla carta, dovrebbero essere finalizzate alla tutela delle forze di polizia e alle esigenze di sicurezza collettiva, le quali paiono però orientarsi più a soddisfare le richieste corporative di alcuni sindacati delle forze dell’ordine. Tra i punti più discussi, vi è la norma che prevede la copertura finanziaria delle spese legali per poliziotti, militari e vigili del fuoco sotto processo per il loro operato: un meccanismo che, pur prevedendo una rivalsa in caso di condanna, potrebbe di fatto incentivare atteggiamenti irresponsabili. C’è poi l’introduzione del nuovo reato di rivolta, che si si applica anche nei casi di resistenza passiva agli ordini, ampliando notevolmente il margine di repressione contro i detenuti e le persone nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio. Un altro punto dibattuto è la norma sull’uso delle videocamere da parte degli agenti: sebbene venga prevista la possibilità di dotare le forze dell’ordine di strumenti di registrazione, non viene infatti introdotto l’obbligo di utilizzarli, limitando così la trasparenza e la documentazione degli interventi. Infine, una disposizione particolarmente controversa autorizza ogni agente a portare, senza necessità di licenza, armi personali diverse da quelle in dotazione ufficiale, misura che appare sproporzionata e priva di casi concreti che il giustifichino.

Gli intensi scontri tra manifestanti e polizia dopo la morte di Ramy si sono verificati nei giorni scorsi a Torino, Roma e Bologna, con lanci oggetti, lacrimogeni, cariche e ore di guerriglia urbana. Il bilancio complessivo parla di otto agenti feriti a Roma, cinque a Torino e dieci lievemente contusi a Bologna. Al momento, per la morte del 19enne sono indagate dalla Procura di Milano quattro persone, tra cui il vicebrigadiere alla guida della volante coinvolta, accusato di omicidio stradale in concorso con Fares Bouzidi, l’amico 22enne di Ramy che guidava lo scooter. Altri due carabinieri sono indagati per frode processuale, depistaggio e favoreggiamento, con l’accusa di aver intimidito un testimone per eliminare il filmato dello schianto. Le immagini riprese da una telecamera di sicurezza contrastano con le dichiarazioni ufficiali degli agenti, che avevano negato ogni collisione, sostenendo che lo scooter fosse caduto autonomamente e che avevano adottato tutte le misure per evitare lo scontro. Tuttavia, dall’audio del video emerge che durante l’inseguimento i militari avrebbero più volte invocato la caduta del mezzo, nonostante fossero consapevoli che Ramy avesse perso il casco.

[di Stefano Baudino]

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