L’azienda di estrazione mineraria Barrick Gold, la seconda più importante al mondo, ha dovuto interrompere le operazioni di estrazione dell’oro dal complesso minerario di Loulo-Gounkoto, in Mali, dopo che il governo ha sequestrato provvisoriamente le scorte estratte dal sito e le ha messe sotto custodia in una banca locale. La decisione è giunta in quanto il governo ritiene che l’azienda non stia rispettando i termini di un contratto che prevede una redistribuzione più equa delle ricchezze estratte dalla cava per tutte le parti in gioco.
La disputa tra Mali e Barrick ha inizio vari mesi fa. Nell’autunno scorso, il ministero delle Miniere e il ministero delle Finanze del Mali avevano accusato l’azienda di non rispettare i termini di un accordo siglato con il governo, finalizzato a raggiungere una più equa redistribuzione delle ricchezze derivanti dallo sfruttamento delle risorse minerarie del Paese. Tra i termini previsti, vi era un aumento della quota statale dei benefici economici generati dal complesso minerario di Loulo-Gounkoto. Il nuovo codice minerario approvato dalla giunta golpista di Assimi Goïta, in carica dal 2021, ha infatti aumentato la quota massima per gli investitori statali e locali sulle miniere dal 20% al 35%. Barrick ha dichiarato di aver effettuato verso il goveno un pagamento di 50 miliardi di CFA (85 milioni di dollari) all’inizio di ottobre, il quale non ha evidentemente soddisfatto il governo maliano. Secondo quanto sarebbe stato riferito a Reuters dai dipendenti di Barrick impiegati nella miniera, infatti, il valore complessivo dello stock di Loulo-Gounkoto, pari a 4 tonnellate metriche, è di circa 380 milioni di dollari. E se da un lato le riserve di Loulo-Gounkoto rappresentano circa un settimo della produzione d’oro stimata da Barrick per il 2025, queste costituiscono l’80% delle esportazioni del Mali nel 2023.
Nel settembre dello scorso anno, inoltre, le autorità maliane avevano arrestato e detenuto quattro dipendenti dell’azienda, mentre l’11 gennaio scorso, secondo quanto riferito dai dipendenti a Reuters, il governo ha iniziato ad applicare l’ordine provvisorio di sequestro delle scorte d’oro presenti nel sito. In una comunicazione di oggi (14 gennaio), Barrick ha infine annunciato la sospensione temporanea delle operazioni nel sito. Il governo, riferisce l’azienda, ha spostato le scorte di oro dalla miniera a una banca di custodia, impedendo fisicamente la spedizione e la vendita del materiale. «Barrick rimane impegnata in un rapporto costruttivo con il goveno maliano e con tutte le parti interessate per trovare una soluzione amichevole che garantisca la sostenibilità a lungo termine del complesso minerario di Loulo-Gounkoto e il suo contributo vitale all’economia e alle comunità del Mali» si legge nella nota odierna dell’azienda.
Quella con Barrick Gold non è l’unica controversia di questo genere tra il governo del Mali e le compagnie minerarie che operano nel settore. Nel novembre dello scorso anno, l’australiana Resolute Mining ha dovuto pagare 160 milioni di dollari al governo maliano per porre fine a una disputa fiscale. Pochi giorni prima, Bamako aveva arrestato tre dipendenti dell’azienda con l’accusa di falsificazione e danneggiamento di proprietà pubblica e con l’obiettivo di spingere Resolute Mining a pagare la cifra richiesta.
La progressiva riappropriazione delle risorse minerarie da parte del Mali, tramite politiche di nazionalizzazione, è solo una delle mosse proposte dall’amministrazione di Goïta da quando è salito al potere con il golpe del 2021. Burkina Faso e Niger, due Stati della fascia del Sahel, hanno prontamente seguito le orme del Mali e, nel novembre 2023, i tre Paesi hanno costituito l’Alleanza del Sahel (AES), della quale Goïta è presidente. L’obiettivo dichiarato dell’AES è «rivendicare la nostra sovranità nazionale» e costituire «un’alternativa a qualsiasi gruppo regionale artificiale, costruendo una comunità libera dal controllo di potenze straniere». Anche il Niger, d’altro canto, ha manifestato l’intenzione di nazionalizzare le proprie riserve di oro, petrolio e uranio, mentre il Burkina Faso ha fatto lo stesso con le proprie scorte di oro. I tre Paesi dell’AES, inoltre, stanno progettando la creazione di una nuova moneta comune regionale anticoloniale, che sostituisca il franco CFA muovendo un passo decisivo verso il recupero della sovranità nazionale e la decolonizzazione.
[di Valeria Casolaro]