giovedì 16 Gennaio 2025

Cosa sappiamo sui punti dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza

Nella sera di ieri, mercoledì 15 gennaio, il presidente uscente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha svelato i contenuti dell’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Come preannunciato da vari siti di informazione durante i giorni di trattative, il patto siglato è simile (Biden ha detto che presenta «gli stessi termini») a quello presentato a maggio dallo stesso presidente, saltato per l’insistenza israeliana nel voler continuare «la distruzione delle capacità militari e governative di Hamas». L’accordo prevede una risoluzione in tre fasi, delle quali solo la prima, di sei settimane, è stata delineata in maniera più dettagliata. In attesa della formalizzazione dell’accordo, che dovrebbe avvenire domenica, Israele non ha fermato i propri attacchi nella Striscia, e ha anche accusato Hamas, che ha respinto le accuse, di essersi tirata indietro su alcuni punti del patto, ritardando il voto sulla sua adozione, e mettendo a repentaglio la stessa entrata in vigore del piano.

Il piano per il cessate il fuoco a Gaza è stato condiviso da Biden sulla piattaforma social X e delineato parzialmente durante la conferenza stampa in cui il presidente uscente ha annunciato il raggiungimento dell’accordo. Come afferma lo stesso Biden, il piano sembra identico a quello precedentemente presentato a maggio. Quest’ultimo (lo avevamo presentato in un articolo de L’Indipendente) era stato accolto positivamente da Hamas, fino a quando lo Stato ebraico non ha voluto sottolineare che, cessate il fuoco o no, i suoi obiettivi sarebbero rimasti gli stessi. «Le condizioni di Israele per terminare la guerra non sono cambiate: la distruzione delle capacità militari e governative di Hamas, la liberazione di tutti gli ostaggi e l’assicurazione che Gaza non costituisca una minaccia per Israele», si leggeva in una dichiarazione dell’ufficio del primo ministro, in cui veniva specificato che «l’idea che Israele accetti un cessate il fuoco permanente prima che queste condizioni vengano soddisfatte è fuori discussione». Ai tempi, insomma, Israele rifiutò l’accordo per continuare a bombardare.

I tre step condivisi da Biden sono poveri di dettagli, anche perché a partire dalla fine della “fase 1” è ancora tutto da delineare. La prima fase dell’accordo durerebbe 42 giorni. Essa prevede un cessate il fuoco totale, il ritiro delle forze israeliane dalle aree popolate di Gaza, la liberazione di «numerosi» ostaggi tra cui americani, donne e anziani, il rientro dei civili palestinesi nelle proprie case e un’impennata negli aiuti umanitari. Biden non sembra avere fornito ulteriori specifiche sui punti elencati, ma vista la corrispondenza tra questi, il piano di maggio e le indiscrezioni di ieri, illustrate da L’Indipendente, sembra potersi affermare con relativa fiducia che questa prima fase prevederebbe lo scambio di 33 ostaggi israeliani con 250 prigionieri palestinesi, l’entrata di 600 camion di aiuti al giorno, la riapertura degli ospedali e l’installazione di nuove strutture di emergenza, e il ritiro dell’esercito israeliano dal confine di Gaza per una profondità di 700 metri.

Le varie iniziative di aiuti umanitari dovrebbero venire coordinate con la supervisione di almeno Qatar ed Egitto; il piano di maggio affidava tale ruolo anche agli USA, ma né le indiscrezioni di ieri né Biden stesso sembrano averne fatto menzione. Dalle indicazioni di Biden, sembrano mancare anche riferimenti espliciti sui corridoi di Netzarim, che divide l’area settentrionale della Striscia di Gaza, e di Philadelphi, al confine meridionale con l’Egitto. Queste due aree sono state al centro delle trattative per mesi, perché linee cruciali per la gestione di Gaza. La prima isola il Governatorato di Nord Gaza, sotto assedio da mesi; i piani dell’aggressione israeliana del Governatorato, infatti, sfruttavano il controllo del corridoio per fare morire i cittadini di fame, nella prospettiva ultima, ritengono in molti, di un’annessione del territorio. Philadelphi, dal suo canto, permette di controllare la frontiera meridionale della Striscia, da sempre fondamentale nel sistema di controllo israeliano di Gaza. Hamas ha sempre chiesto il completo ritiro di Israele dalle aree, mentre Israele si è costantemente rifiutata di mettere il completo disimpegno delle truppe sul tavolo delle trattative.

Va inoltre rimarcato che con “cessate il fuoco totale” e “ritiro delle forze israeliane dalle aree popolate di Gaza” non si intende un cessate il fuoco permanente né un ritiro completo. La prima fase, infatti, prevede l’imposizione di un cessate il fuoco temporaneo, valido per le sole prime sei settimane dell’accordo, mentre l’esercito israeliano rimarrebbe ancora nelle zone sensibili (presumibilmente gli stessi corridoi di Netzarim e Philadelphi) per ritirarvisi in un secondo momento. Cessate il fuoco permanente e ritiro completo sono piuttosto i punti principali su cui ruoterebbe la “fase 2”, che prevede anche la fine della guerra e lo scambio dei restanti ostaggi. Essa però, non è ancora stata delineata e verrà discussa solo nei prossimi giorni, in parallelo all’eventuale svolgimento della “fase 1”. Ieri era trapelato che Qatar ed Egitto avrebbero assicurato la transizione tra le fasi, compreso il ritiro israeliano dai corridoi tanto discussi durante i negoziati, ma sul piatto non sembra esserci ancora niente. Al secondo step, seguirebbe la “fase 3”, incentrata sull’elaborazione di un piano di ricostruzione per Gaza e sulla restituzione degli ultimi corpi dei defunti alle famiglie.

L’accordo di cessate il fuoco arriva dopo 15 mesi di massacri, che comunque Israele non sembra intenzionato a fermare, almeno fino all’entrata in vigore dei patti. Ieri, mentre il mondo stava festeggiando il raggiungimento della tregua, l’esercito israeliano ha scagliato un attacco su un edificio residenziale di Nord Gaza, uccidendo almeno una ventina di persone; in generale, da dopo l’annuncio, Israele ha intensificato gli attacchi in tutta la Striscia, uccidendo più di cinquanta persone. Dall’escalation del 7 ottobre, invece, l’esercito israeliano ha ucciso direttamente almeno 46.707 persone, anche se secondo uno studio della rivista scientifica The Lancet, i morti diretti in questo momento ammonterebbero a oltre 64.000. La stessa rivista ha inoltre pubblicato una dettagliata analisi in cui sostiene che, considerando gli effetti indiretti del conflitto come l’interruzione dei servizi sanitari, la mancanza di acqua potabile e servizi igienici, il numero delle vittime potrebbe superare le centinaia di migliaia di persone, come peraltro affermato da una lettera di medici volontari nella Striscia. Stamattina, inoltre, Netanyahu ha già messo in discussione l’approvazione del patto, accusando Hamas di essersi tirata indietro su non meglio specificati punti del piano: «Hamas ha rinnegato gli accordi, creando una crisi dell’ultimo minuto che impedisce il completamento dell’accordo già concordato», ha scritto – smentito da Hamas – l’ufficio del primo ministro, in una dichiarazione che rischia di minare l’entrata in vigore del cessate il fuoco a poche ore dall’annuncio.

[di Dario Lucisano]

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