venerdì 17 Gennaio 2025

Il ddl 1660 lede il diritto di protesta: sei relatori ONU contro l’Italia

Sei Relatori Speciali delle Nazioni Unite hanno scritto una lettera al governo italiano esprimendo preoccupazione per le misure contenute nel disegno di legge 1660, attualmente in discussione al Parlamento. Secondo il loro parere, infatti, le disposizioni contenute nella bozza – con particolare riferimento al reato di occupazione arbitraria e di blocco stradale, oltre che alle aggravanti introdotte per una lunga serie di reati – violerebbero una lunga lista di diritti umani e civili, ponendosi in contraddizione con patti e trattati europei per la tutela dei diritti umani e civili sottoscritti e ratificati dall’Italia. Per tale ragione, i sei Relatori hanno chiesto al governo italiano di modificare o revocare del tutto alcune delle norme contenute nella bozza.

I Relatori si sono soffermati, in particolare, su una dozzina di articoli contenuti nel ddl, a partire dall’art. 1, che preve la reclusione fino a sei anni per chi «si procura o detiene» materiale utile alla preparazione o all’uso di armi al fine di compiere non meglio specificati atti di terrorismo (scritto «con un linguaggio vago ed eccessivamente ampio, rischiando di criminalizzare atti che non sono terroristici»). L’art. 10, che introduce il reato di occupazione arbitraria, insieme all’art. 14 (reato di blocco stradale) contraddice il diritto di protesta pacifica e di compiere atti di disobbedienza civile definito dal Comitato per i Diritti Umani, oltre che ledere il diritto delle persone a protestare pacificamente per questioni legate all’ambiente – il blocco stradale è infatti una tecnica utilizzata spesso da gruppi quali Extintion Rebellion. Per quanto riguarda articoli come il 19 e il 21 (che introducono aggravanti per fatti violenti commessi contro le forze dell’ordine o al fine di impedire la costruzione di «infrastrutture strategiche»), i Relatori fanno notare che il linguaggio utilizzato dai relatori non definisce con chiarezza cosa si intenda con «violenza». In aggiunta a ciò, impedire alle persone di realizzare atti di protesta pacifici in relazione alla realizzazione di infrastrutture strategiche costituisce una ulteriore limitazione del diritto di manifestare.

Secondo l’analisi effettuata dai Relatori ONU, se le norme contenute all’interno della bozza di decreto fossero approvate così come sono violerebbero una lunga serie di normative europee, tra le quali «l’art. 9 (diritto alla libertà e alla sicurezza e la proibizione della detenzione arbitraria), 12 (diritto alla libertà di movimento), 14 (diritto a un giusto processo), 17 (diritto alla privacy), 19 (diritto alla libertà di espressione e opinione), 21 (libertà di riunione pacifica) e 22 (libertà di associazione) del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR)». Il testo potrebbe anche contenere violazioni degli obblighi dell’Italia specificati all’interno della Convenzione Aarhus (sui diritti dei cittadini alla partecipazione nei processi decisionali e all’accesso alla giustizia sui temi ambientali) della Commissione Economica per l’Europa (UNECE), ratificata dall’Italia nel 2001. Inoltre, notano i Relatori, il rischio è che chi è già discriminato per ragioni di razza, colore della pelle, nazionalità o status migratorio si trovi ad essere enormemente più colpito da questo provvedimento rispetto ad altre persone.

La discussione in merito al nuovo decreto Sicurezza, misura cardine del governo Meloni, è in discussione in Parlamento da qualche mese. La società civile si è in più occasioni mobilitata per chiedere che il governo riveda le sue posizioni e non approvi il decreto, che secondo vari legislatori, ONG e personalità della società civile è profondamente lesivo del diritto al dissenso. Al suo interno sono presenti anche misure alquanto controverse, come l’art. 31, che amplia in maniera significativa i poteri dell’intelligence costringendo alla collaborazione una lunga serie di servizi pubblici – come le università. Parallelamente a ciò, il nuovo decreto amplia in maniera significativa i poteri delle forze dell’ordine, che ora potranno portare con sè, anche fuori servizio e anche senza licenza, le armi di cui all’art. 42 del TULPS (Testo Unico sulla Pubblica Sicurezza), ovvero «rivoltelle o pistole di qualunque misura o bastoni animati la cui lama non abbia lunghezza inferiore a 65 cm». Infine, tra le novità principali introdotte dal disegno di legge vi è il divieto di coltivare e vendere la cannabis light, proibendo il commercio, la lavorazione e l’esportazione di foglie, infiorescenze e di tutti i prodotti che contengono sostanze derivate dalla pianta di canapa – misura che, così per come è concepita, andrà a colpire tutta la filiera di produzione della canapa industriale, mettendo dunque a repentaglio migliaia di posti di lavoro.

[di Valeria Casolaro]

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