Quando in Italia erano le due del mattino di oggi, 17 gennaio, a Doha i negoziatori di Israele, Hamas, Stati Uniti e Qatar hanno firmato ufficialmente l’accordo per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e per il rilascio degli ostaggi israeliani. La firma è arrivata al culmine di un giorno di estenuanti trattative sugli ultimi dettagli, segnato da nuove stragi compiute dall’esercito israeliano (solo ieri almeno 101 palestinesi sono stati uccisi, tra cui 27 bambini e 31 donne) e da tensioni politiche in Israele, dove una parte della maggioranza di governo si è opposta alla tregua, con manifestazioni di piazza contro il rilascio dei detenuti palestinesi. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che il gabinetto di sicurezza e il governo israeliano si riuniranno oggi per ratificare l’accordo, che dovrebbe entrare in vigore a partire da domenica.
Secondo gli accordi, la prima fase del cessate il fuoco, al momento l’unica delineata, durerà 42 giorni. L’accordo integrale non è ancora stato divulgato, ma, secondo quanto anticipato da Biden e ricalcando la bozza di cessate il fuoco che era fallita lo scorso maggio (che, per ammissione americana, è la stessa ora approvata), prevede un cessate il fuoco totale, il ritiro delle forze israeliane dalle aree popolate di Gaza, la liberazione di «numerosi» ostaggi, tra cui americani, donne e anziani, il rientro dei civili palestinesi nelle proprie abitazioni e un incremento significativo negli aiuti umanitari. Più precisamente, sono previsti lo scambio di 33 ostaggi israeliani con 250 prigionieri palestinesi, l’ingresso di 600 camion di aiuti al giorno, la riapertura degli ospedali e l’installazione di nuove strutture di emergenza, oltre al ritiro dell’esercito israeliano dal confine di Gaza per una profondità di 700 metri.
Durante questa prima fase del cessate il fuoco sarà discussa la seconda fase, che dovrebbe entrare in vigore al termine dei 42 giorni iniziali di pace. Questa seconda fase prevede il rilascio completo degli ostaggi da parte della resistenza palestinese in cambio della liberazione di ulteriori detenuti palestinesi dalle carceri israeliane, l’attuazione di un cessate il fuoco definitivo e il ritiro totale dell’esercito israeliano. Successivamente, dovrebbe aprirsi una terza fase, dedicata alla definizione di una nuova forma di governo per Gaza che, secondo Israele, in questo appoggiata da USA e Unione Europea, non dovrà più vedere al potere Hamas. Tuttavia, arrivare a questa terza fase si preannuncia estremamente complesso, con il nuovo corso statunitense che sembra voler cercare di forzare le trattative facendo negoziare la leadership di Hamas con la classica “pistola puntata alla testa”, nel tentativo di obbligarla alla resa. Strategia già messa in atto in questa fase di trattative («se Hamas non rilascerà gli ostaggi prima del mio insediamento scatenerò l’infermo su Gaza», aveva detto pochi giorni fa Donald Trump), ma che deve dimostrare di funzionare fino in fondo contro una forza che gode ancora di grande sostegno popolare a Gaza e anche dopo 15 mesi di bombe e massacri israeliani ha dimostrato fino all’ultimo una indomita operatività militare, indebolita ma non certo neutralizzata.
Si vedrà, intanto mentre Joe Biden afferma che Netanyahu deve «trovare un modo per soddisfare le legittime preoccupazioni» dei palestinesi, e l’Europa annuncia 120 milioni di aiuti per Gaza e rilancia sulla necessità di dare uno Stato ai palestinesi, da parte della nuova amministrazione Trump ci si limita a mandare messaggi di appoggio a Netanyahu, con il nuovo segretario di Stato, Marco Rubio, che ha assicurato che quella entrante sarà «l’amministrazione americana più filo-israeliana della storia».