La Corte Costituzionale ha ufficialmente stabilito su quali temi i cittadini italiani saranno chiamati alle urne in occasione dei referendum popolari del 2025, che si terranno in Primavera. Cinque quesiti, concernenti la cittadinanza per gli extracomunitari e una serie di norme sul lavoro, tra cui l’annullamento di alcuni punti del Jobs Act, hanno ricevuto il via libera, mentre il tema più controverso – l’abrogazione della legge sull’autonomia differenziata – è stato escluso. Lo scheletro della legge era già stato demolito da una sentenza dello scorso novembre della Consulta, che, accogliendo i ricorsi di quattro Regioni, aveva dichiarato incostituzionali alcune norme chiave del provvedimento.
Nonostante le attese, la Corte ha dichiarato inammissibile il referendum sull’autonomia differenziata, che prevede un percorso per trasferire alcune competenze dallo Stato centrale alle regioni. Nel comunicato pubblicato dalla Consulta si legge che «l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari». Le motivazioni definitive saranno depositate nei prossimi giorni. Il governo stesso non era fortemente compatto sul sostegno alla legge Calderoli, voluta in particolare dalla Lega. La misura già a novembre 2024 era stata parzialmente bocciata dalla stessa Corte per incompatibilità costituzionali su diversi punti: i giudici hanno infatti ritenuto non conforme alla Carta che i LEP (Livelli Essenziali di Prestazione) vengano stabiliti dal governo, affermando che la materia dovrà essere disciplinata dal Parlamento; incostituzionali, secondo la Corte, sono anche la modifica delle aliquote tributarie con decreto interministeriale e l’uso del criterio della spesa storica per la compartecipazione delle risorse. In una nota, la Consulta aveva spiegato che spetta al Parlamento «colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali». Ora si tornerà in Aula per la riscrittura della legge delega sui LEP.
I cittadini italiani saranno invece chiamati a esprimersi su cinque referendum che toccano temi chiave come il lavoro e l’integrazione. Il primo quesito riguarda il dimezzamento, da 10 a 5 anni, del periodo di residenza legale richiesto agli stranieri maggiorenni extracomunitari per ottenere la cittadinanza italiana. Promosso da +Europa, questo referendum punta ad allineare l’Italia agli standard di altri paesi europei come Francia e Germania, dove il requisito temporale è già di cinque anni. Una misura che darà certamente manforte alla battaglia politica tra l’universo conservatore e quello progressista. Gli altri quattro quesiti, proposti dalla CGIL, si concentrano sul lavoro. Il primo propone di abrogare le norme sui licenziamenti introdotte dal Jobs Act: in particolare, si mira a cancellare la parte che consente alle imprese di non reintegrare un lavoratore licenziato in modo illegittimo nel caso in cui sia stato assunto dopo il 2015. Il secondo quesito punta invece a eliminare il tetto di sei mensilità previsto per le indennità nelle aziende con meno di quindici dipendenti, aumentando le tutele per i lavoratori. Il terzo punto chiede di eliminare alcune restrizioni sui contratti a termine, con l’obiettivo di contrastare la precarietà lavorativa, abrogando alcune parti dell’articolo 19 del Decreto Legislativo 81/2015 (decreto attuativo del Jobs Act) e un articolo del Decreto Lavoro varato nel 2023 dall’attuale esecutivo. L’ultimo quesito interviene sugli infortuni sul lavoro, proponendo di abrogare la norma che, in presenza di appalti o subappalti, esclude la responsabilità solidale dell’impresa committente in caso di infortunio o malattia del lavoratore.
I cinque referendum ammessi si terranno in una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno. Potranno partecipare tutte le persone maggiorenni e in possesso della cittadinanza italiana. Per la validità della consultazione referendaria è necessario che si rechino alle urne almeno la metà degli aventi diritto al voto più uno. Il mancato via libera al referendum sull’autonomia differenziata, nel frattempo, ridisegna la battaglia politica sul provvedimento: da un lato, la campagna referendaria avrebbe potuto esacerbare le divisioni all’interno del governo su un tema già di per sé polarizzante. Dall’altro, l’opposizione avrebbe dovuto affrontare la sfida di mobilitare gli elettori, un compito reso arduo dai precedenti: negli ultimi trent’anni, solo i referendum del 2011 hanno raggiunto il quorum del 50% più uno.
[di Stefano Baudino]