La storia degli Appennini è scritta nell’orientamento e nella forma delle particelle che formano le sue rocce e, al contrario di quanto accaduto per altre catene montuose, è studiabile persino da piccoli frammenti prelevati da alcuni sedimenti, i quali si dimostrano un innovativo indicatore geologico: è quanto emerge da uno nuovo studio condotto dalle Università Sapienza e Roma Tre in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Tectonics. I ricercatori hanno spiegato che il nuovo indicatore aiuterà a definire l’età e le trasformazioni geologiche dei bacini sedimentari e, al contrario dei metodi standard, lo farà con maggiore precisione, dimostrando che l’innovazione e i metodi alternativi sono in grado di superare i limiti di quelli classici.
Gli Appennini, che considerati la vera e propria spina dorsale dell’Italia, sono un esempio straordinario di catena montuosa a pieghe e sovrascorrimenti, formatasi attraverso complessi processi geologici e tettonici. Da decenni si pensa che comprendere la loro evoluzione non sia solo una sfida scientifica, ma anche una necessità per valorizzare e preservare il patrimonio naturale e le risorse energetiche del territorio. In questo caso, lo studio si è concentrato sull’analisi della maturità termica dei sedimenti, un parametro fondamentale per comprendere le condizioni di temperatura e pressione a cui le rocce sono state sottoposte nel tempo geologico. Questo parametro, strettamente legato ai processi di deposizione e diagenesi, è stato indagato negli Appennini settentrionali utilizzando una proprietà nota come anisotropia della suscettibilità magnetica (AMS): «Le nostre analisi si prefiggono di rispondere alla domanda “fino a che profondità sono stati sepolti i sedimenti analizzati prima di essere riportati in superficie dalla formazione degli Appennini?”, ovvero “a quali massime temperature sono stati sottoposti?”. L’AMS è una proprietà che si misura nei laboratori di paleomagnetismo con strumentazione dedicata e che mette in relazione la variabilità della suscettività magnetica con la direzione in cui essa viene misurata, che dipende – a sua volta – dall’orientazione preferenziale dei minerali che costituiscono il sedimento», spiega Leonardo Sagnotti, ricercatore dell’INGV e coautore dello studio.
I risultati ottenuti hanno mostrato correlazione diretta tra l’AMS e i processi di deposizione e compattazione dei sedimenti, permettendo così di indagarne la maturità termica, il grado di evoluzione della materia organica e le trasformazioni dei minerali argillosi durante la diagenesi da seppellimento. «Questa osservazione ci ha permesso di calibrare un modello basato su una correlazione lineare tra il parametro AMS e gli indicatori paleotermici che può essere applicato con successo per definire i livelli di maturità termica nei bacini sedimentari, superando le limitazioni dei metodi classici e vincolando su scala temporale le condizioni di diagenesi delle successioni sedimentarie», ha continuato Massimo Mattei, ricercatore dell’Università Roma Tre e anche lui coautore dell’articolo. Infine, gli scienziati hanno concluso spiegando l’importanza dell’approccio utilizzato, il quale rappresenterebbe un passo avanti significativo nello studio delle catene montuose e potrebbe avere applicazioni importanti nella ricerca sulle risorse naturali e nella comprensione dei processi geologici che hanno modellato il paesaggio italiano.
[di Roberto Demaio]