Non c’è pace in Kurdistan, dove l’esercito turco e le milizie dell’Esercito Nazionale Siriano (SNA), esplicitamente supportate da Ankara, stanno continuando ad assaltare i villaggi e la popolazione nell’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est. Nel completo silenzio di media e governi occidentali, in queste ore, si sono intensificati i bombardamenti nei pressi della diga di Tishreen, a un centinaio di chilometri a est di Aleppo. L’ultimo ieri mattina: sono rimasti uccisi due civili, mentre una settantina di persone sono state ferite, diverse delle quali erano giornalisti. La diga ricopre un’importanza cruciale nella regione, in quanto permette di distribuire l’acqua a decine di migliaia di persone. Per difenderla, la popolazione locale ha dato il via a una mobilitazione pacifica, radunandosi nella zona. Nonostante questo, i bombardamenti di Ankara sono proseguiti senza sosta, uccidendo almeno 16 civili negli scorsi giorni.
«Gli attacchi alla diga sono iniziati lo scorso novembre, parallelamente a quelli contro Damasco» racconta a L’Indipendente Martina, ricercatrice italiana da alcuni mesi residente nel Kurdistan siriano e che al momento si trova proprio nei pressi della diga Tishreen. Le milizie del SNA stanno conducendo l’assalto via terra e, in contemporanea, la Turchia procede con i bombardamenti aerei. Mentre le forze di difesa del popolo della Siria del Nord-Est si sono mobilitate per difendere i villaggi, a partire dall’8 gennaio scorso la popolazione ha iniziato a raggiungere la diga per dare il via a una mobilitazione pacifica e impedire il bombardamento dell’infrastruttura, la cui distruzione costituirebbe un disastro ecologico, sociale ed economico inimmaginabile.
«Domenica hanno bombardato dove c’è l’acqua e anche a qualche centinaio di metri dalle persone» racconta Martina. «Il giorno prima invece hanno bombardato un gruppo di persone che stava ballando. Un’ambulanza ha provato a portare via i feriti, ma è stata attaccata anche quella. Si è fatto appena in tempo a estrarre i feriti dal veicolo che l’hanno bombardato nuovamente». Almeno 14 persone sono rimaste uccise nel corso di quell’attacco, mentre sono un’ottantina i feriti. La stessa cosa è accaduta ieri: mentre alcune persone stavano ballando e trascorrendo pacificamente il tempo, gli ordigni turchi sono caduti nel parcheggio della diga, uccidendo due persone e ferendone altre 70, tra le quali 4 sarebbero giornalisti.
Gli attacchi non hanno fermato la popolazione curda, che continua a mandare avanti la protesta in forma pacifica. «Le persone che sono state ferite negli attacchi degli scorsi giorni non vogliono smettere di lottare e tornano ogni giorno a sedersi qui vicino alla diga» racconta Martina. Quella di distruggere le infrastrutture è d’altronde una strategia usata da tempo dalla Turchia, che punta in questo modo a indebolire la popolazione privandola delle risorse necessarie alla sopravvivenza. La portata di questo attacco tuttavia è differente: «non si tratta di una infrastruttura piccola, che danneggia una porzione limitata di popolazione, ma di una diga centrale, molto grande, che serve per l’approvvigionamento di milioni di persone».
«L’attacco è intenso perchè è intensa la resistenza» dichiara Martina. «Quando la Turchia ha bombardato direttamente le macchine delle persone che stavano venendo qui, la gente è scesa e ha continuato a piedi». E prosegue: «lo Stato turco bombarda anche quando non gli è permesso, perchè qui collabora con Stati Uniti, Regno Unito e vari Paesi della NATO. Nonostante ciò, attacca a suo piacimento, quando gli pare. La responsabilità di questo è anche della comunità internazionale: è fondamentale che questa si esponga, perchè queste persone stanno cercando di difendere la propria diga e la propria terra».
[di Valeria Casolaro]