La sorveglianza e la guerra rappresentano attività altamente redditizie, e l’industria tecnologica sembra esserne pienamente consapevole, sebbene preferisca spesso non pubblicizzare troppo i legami che intrattiene con governi ed eserciti. Di tanto in tanto, però, emergono rivelazioni che svelano uno scorcio di ciò che avviene dietro le quinte. Questa volta sotto i riflettori sono finite Microsoft e Google: documenti trapelati rivelano il rapporto sempre più stretto tra le Big Tech e le forze armate israeliane, un legame che si è intensificato rapidamente dopo il 7 ottobre 2023, in concomitanza con l’attacco mosso nei territori palestinesi.
Già nell’agosto del 2024, la testata investigativa israelo-palestinese +972 aveva denunciato come Amazon, Microsoft e Google fossero impegnate in una vera e propria competizione per rispondere alla crescente domanda israeliana di spazi di archiviazione cloud, servizi che si rivelano fondamentali per supportare gli strumenti d’intelligenza artificiale e gestire le immense quantità di dati raccolti tramite operazioni di sorveglianza. Ora, l’entità giornalistica indipendente Drop Site ha fornito in tal senso dettagli più concreti. Analizzando contratti stipulati dal governo israeliano con Microsoft, il gruppo ha evidenziato come l’escalation del conflitto abbia portato a un aumento significativo della richiesta di servizi cloud offerti dalla piattaforma Azure.
A partire da ottobre 2023, i costi di supporto e consulenza richiesti dai militari israeliani hanno raggiunto la somma di 10 milioni di dollari, mentre ulteriori 30 milioni sono stati vagliati in sostegno delle spese del 2024. Tra giugno 2023 e aprile 2024, l’utilizzo dei server messi a disposizione da Microsoft è cresciuto del 155%, un incremento significativo che suggerisce il ricorso intensivo a strumenti di intelligenza artificiale. Per soddisfare le imponenti esigenze israeliane, la Big Tech ha dovuto spingersi oltre ai soli server locali, attingendo anche alle infrastrutture europee. Attualmente, il Ministero della Difesa figura tra i 500 migliori clienti della società, tuttavia l’analisi delle dinamiche dei flussi di finanziamenti vengono rese più complesse dal fatto che le diverse entità militari possano siglare contratti in autonomia, utilizzando i rispettivi budget interni.
The Washington Post, dal canto suo, ha ottenuto documenti interni che rivelano maggiori informazioni sui rapporti intrattenuti da Google con le forze armate di Tel Aviv. Anche in questo caso, la domanda di servizi cloud ha registrato un’impennata in concomitanza con l’avvio delle operazioni punitive. Il Ministero della Difesa ha richiesto un accesso ampliato ai servizi di intelligenza artificiale offerti dalla Big Tech, mostrando particolare interesse per Vertex, una piattaforma di sviluppo IA che consente ai clienti di caricare e analizzare i propri dati. Documenti risalenti a novembre 2024 rivelano inoltre l’intenzione delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) di utilizzare il Gemini AI sviluppato da Google per creare assistenti virtuali in grado utili a elaborare in maniera più efficiente documenti e contenuti audio. Scambi di email interni suggeriscono che Google abbia assecondato con decisione le richieste israeliane, temendo che eventuali rallentamenti potessero convincere il Governo di Tel Aviv a rivolgersi ai servizi della concorrente Amazon Web Services.
Le recenti rivelazioni non chiariscono un punto cruciale: come vengano effettivamente impiegati i servizi di cloud e intelligenza artificiale. Questi potrebbero, ipoteticamente, essere utilizzati per scopi amministrativi, contribuendo ad alleggerire il carico burocratico, oppure per altre finalità tecniche non direttamente collegate agli sforzi bellici. Tuttavia, la scarsa trasparenza dimostrata dalle Big Tech, unita all’aumento del flusso di dati in concomitanza con le operazioni militari, non può che sollevare legittimi dubbi. Google, ad esempio, ha sempre assicurato che il servizio Nimbus fornito a Israele non venga usato per “carichi di lavoro altamente sensibili, classificati o militari rilevanti per le armi o i servizi di intelligence”. Eppure, questa posizione è stata di fatto smentita dal Direttore generale della Direzione nazionale per la sicurezza informatica del governo israeliano, Gaby Portnoy, il quale ha ammesso con una certa leggerezza che tale tecnologia ha permesso di “far capitare cose fenomenali durante i combattimenti”.
[di Walter Ferri]