Su Marte, circa 4 miliardi di anni fa, non solo l’acqua esisteva, ma scorreva libera e senza ghiacci a coprirla formando laghi poco profondi sotto un’atmosfera abbastanza densa da sostenerne la presenza: è quanto emerge dal lavoro eseguito da un team internazionale di ricercatori, i quali hanno dettagliato i loro risultati all’interno di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Science Advances. Gli scienziati, grazie all’utilizzo del rover Curiosity della NASA, hanno individuato due serie di antiche increspature delle onde perfettamente conservate, le quali rappresenterebbero una prova diretta di acque stagnanti e poco profonde, aperte al vento e all’aria marziana. Gli autori hanno spiegato che la ricerca aggiunge evidenza ad un quesito decennale e suggerisce che le condizioni per l’acqua liquida e potenzialmente per la vita microbica siano durate più a lungo di quanto ipotizzato in precedenza: «La scoperta delle increspature delle onde è un importante progresso per la scienza paleoclimatica di Marte. Stiamo cercando queste caratteristiche da quando i lander Opportunity e Spirit hanno iniziato le loro missioni nel 2004», ha commentato John Grotzinger coautore e scienziato dell’Istituto di Tecnologia della California.
L’acqua su Marte è sempre stata un elemento di grande interesse scientifico. Fin dagli inizi delle missioni marziane, infatti, i ricercatori hanno cercato prove di antichi ambienti acquatici. I primi indizi risalgono al 2004, con i lander Opportunity e Spirit che identificarono increspature create dall’acqua scorrente. Tuttavia, c’era un problema: non era chiaro se queste acque si fossero mai accumulate in laghi o mari. Nel 2014, il rover Curiosity della NASA fece un primo passo avanti, scoprendo prove di antichi laghi di lunga durata anche se, spiegano i ricercatori, il mistero della loro copertura da ghiaccio continuava a persistere. Ora però, grazie ai modelli computerizzati creati dall’esperto e coautore Michael Lamb e ai dati raccolti sul campo nel cratere Gale, si è giunti a un’ulteriore svolta: sono state scovate increspature risalenti a 3,7 miliardi di anni fa, alte solo circa 6 millimetri e distanziate tra loro di 4 e 5 centimetri, le quali secondo i ricercatori dimostrano che, almeno in alcuni momenti storici, l’acqua stagnante era esposta all’aria, in assenza di ghiaccio, indicando un clima più caldo e umido di quanto si pensasse per quell’epoca.
Le increspature sono state studiate e analizzate a lungo visto che sono state scoperte nel 2022 in due siti distinti del cratere: il primo, chiamato Prow, localizzato in un’antica area di dune spazzate dal vento, mentre il secondo, nella fascia rocciosa Amapari Marker, indicherebbe secondo gli esperti un lago poco profondo, con acqua di circa 2 metri di profondità. Gli scienziati, infatti, hanno spiegato che il particolare modo con cui queste increspature si sono formate – grazie all’azione delle onde spinte dal vento – forniscono vincoli chiari sulla profondità e sull’estensione dell’acqua, limitando gli scenari possibili a quelli dedotti dai coautori: «La forma delle increspature può essersi formata solo sott’acqua esposta all’atmosfera e influenzata dal vento. Estendendo la durata della presenza di acqua liquida si estendono le possibilità di abitabilità microbica più avanti nella storia di Marte», ha commentato la coautrice Claire Mondro. «La scoperta delle increspature delle onde è un importante progresso per la scienza paleoclimatica di Marte. Stiamo cercando queste caratteristiche da quando i lander Opportunity e Spirit hanno iniziato le loro missioni nel 2004. Le missioni precedenti, a partire da Opportunity nel 2004, hanno scoperto increspature formate dall’acqua che scorreva sulla superficie dell’antico Marte, ma non era certo se quell’acqua si fosse mai accumulata per formare laghi o mari poco profondi. Il rover Curiosity ha scoperto prove di antichi laghi di lunga durata nel 2014 e ora, 10 anni dopo, Curiosity ha scoperto antichi laghi privi di ghiaccio, offrendo un’importante panoramica sul clima primordiale del pianeta», ha commentato John Grotzinger coautore e ricercatore dell’Istituto di Tecnologia della California.
[di Roberto Demaio]