mercoledì 5 Febbraio 2025

Una ricerca sui topi dimostra come le microplastiche bloccano il sangue nel cervello

Le microplastiche non solo sono onnipresenti nel nostro ambiente, ma possono permeare attraverso gli organismi viventi e persino compromettere la circolazione sanguigna nel cervello: è quanto emerge dal lavoro condotto da ricercatori dell’Accademia cinese di ricerca sulle scienze ambientali di Pechino, i quali hanno dettagliato i loro risultati all’interno di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla ricerca scientifica Science Advances. Gli scienziati hanno spiegato che, per la prima volta, è stato monitorato in tempo reale il movimento delle microplastiche nei vasi sanguigni dei topi, scoprendo che possono formare dei veri e propri blocchi nei vasi sanguigni cerebrali e creare di conseguenza potenziali rischi per la funzionalità del cervello. La ricerca è solo l’ultima di una lunga lista che ha già correlato tali minuscoli frammenti a malfunzionamenti di numerosi organi umani ma la cosa peggiore, spiegano i ricercatori, è che si è appena iniziato a scoprire il loro potenziale effetto sulla salute umana, che necessita di essere indagato con ulteriori studi che certifichino il nesso di causalità.

Le microplastiche sono frammenti di plastica con un diametro inferiore a 5 millimetri e sono diventate una delle principali preoccupazioni ambientali degli ultimi decenni. Si tratta di particelle che si disperdono nell’ambiente in vari modi e finiscono spesso nel nostro corpo attraverso il consumo di cibi contaminati o l’assunzione di acqua inquinata. Per questo motivo, i ricercatori hanno deciso di indagare eventuali effetti al cervello studiando alcuni topi e, per realizzare il nuovo studio, hanno utilizzato una tecnica di imaging laser ad alta risoluzione per monitorare il movimento delle microplastiche nei vasi sanguigni cerebrali dei topi. Si tratta, spiegano i ricercatori, di un approccio innovativo che ha permesso di osservare per la prima volta in tempo reale il comportamento di tali particelle. Il risultato è stato sorprendente: le microplastiche non penetrano direttamente nei tessuti cerebrali, ma interferiscono con la circolazione sanguigna, creando ostruzioni nei vasi sanguigni del cervello e alterando la normale attività neuronale.

In particolare, gli scienziati hanno osservato che le microplastiche, quando entrano nella circolazione, vanno ad accumularsi nei vasi sanguigni dell’area corticale del cervello, dove causano ostruzioni al flusso di sangue. Tali blocchi sono stati paragonati ai coaguli di sangue, con effetti che, pur non essendo immediatamente visibili, interferirebbero significativamente con la circolazione e con il normale funzionamento del cervello. I topi che avevano microplastiche nel loro flusso sanguigno hanno infatti mostrato peggiori risultati nei test cognitivi, come quelli che misurano la memoria, il movimento e la coordinazione e ciò, secondo gli autori, indica che il cervello dei topi era compromesso, suggerendo che le microplastiche possano interferire con la normale funzionalità cerebrale. Successivamente, i blocchi sono stati eliminati nel giro di un mese e i comportamenti cognitivi dei topi sono tornati alla normalità, ma i ricercatori hanno avvertito comunque che le implicazioni a lungo termine potrebbero essere più gravi: l’interferenza con il flusso sanguigno potrebbe essere legata a disturbi neurologici – in particolare a disturbi comportamentali simili alla depressione – e, inoltre, i ricercatori non escludono potenziali rischi di un aumento delle malattie cardiovascolari, dato che i blocchi nei vasi sanguigni cerebrali possono preannunciare un maggiore rischio di ictus. Gli autori hanno concluso spiegando che non ci sono ancora prove dirette che tali processi si verifichino anche nell’uomo anche se, d’altra parte, la scelta di basarsi sui topi è stata effettuata proprio perché biologicamente simili a noi. Tuttavia, ulteriori studi potrebbero indagare tale fenomeno in modelli animali più simili agli umani, come i primati, col fine di esaminarne più a fondo l’interazione e cercare di stabilire con maggiore certezza un nesso di causalità.

[di Roberto Demaio]

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