Avanza l’azione delle associazioni agricole italiane a difesa della filiera della canapa industriale, colpita da due provvedimenti del governo Meloni che vietano la produzione e il commercio delle infiorescenze di canapa e assimilano le composizioni per uso orale di CBD alle sostanze stupefacenti. La petizione presentata lo scorso settembre da numerose sigle nazionali contro le restrizioni stabilite dall’esecutivo ha infatti ottenuto un primo risultato significativo: la commissione Petizioni del Parlamento europeo (Peti) ha accolto l’istanza e chiesto alla Commissione UE un’indagine preliminare sulla questione. L’Eurocamera discuterà il caso a marzo, mentre in Italia il Ddl Sicurezza minaccia 3.000 imprese e 15.000 lavoratori del settore.
La comunicazione è arrivata direttamente a Mattia Cusani, presidente di Canapa Sativa Italia e primo firmatario della petizione, sostenuta da numerose organizzazioni italiane, tra cui Confagricoltura, Federcanapa, Cia, Copagri, Altragricoltura e Associazione Florovivaisti Italiani, ma anche dall’European Industrial Hemp Association (Eiha) e dai francesi di UPCBD. La commissione Petizioni ha richiamato una recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (4 ottobre 2024), che stabilisce il divieto per gli Stati membri di imporre restrizioni alla coltivazione della canapa industriale, salvo giustificazioni basate su prove scientifiche concrete relative alla tutela della salute pubblica. Oltre all’indagine preliminare della Commissione UE – che coinvolgerà, in particolare, anche la Commissione per l’Ambiente, la Sanità Pubblica e la Sicurezza Alimentare e la Commissione per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale – la questione verrà discussa nelle prossime riunioni della commissione Peti, che potrebbe invitare Cusani o un altro firmatario a illustrare la petizione in aula.
Nello specifico, la petizione promossa dalle organizzazioni evidenzia che l’emendamento al Ddl Sicurezza che, di fatto, vieta la produzione e il commercio delle infiorescenze di canapa e derivati, e il decreto approvato dal governo il 27 giugno, che classifica tra le sostanze stupefacenti le composizioni per uso orale di CBD, «violano i principi fondamentali del diritto dell’Unione Europea, in particolare la libera circolazione delle merci» e la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Ue, che in una sentenza del novembre 2020 «ha già stabilito che il CBD non è una sostanza stupefacente». Negli scorsi mesi il Movimento 5 Stelle aveva scelto di farsi carico della battaglia politica in Europa, presentando un’interrogazione a Bruxelles in cui ha affermato che le due misure «sollevano problemi con la normativa Ue, nonché con la giurisprudenza (della Corte di Giustizia dell’Ue, ndr) che vieta di impedire la vendita di CBD legale senza evidenze di rischio per la salute pubblica».
Il governo Meloni ha sin da subito adottato a livello nazionale una linea proibizionista sulla cannabis light, vietando nel 2023 i prodotti orali a base di CBD e classificandoli come stupefacenti. Il decreto, pubblicato a settembre, ha portato a sequestri nei punti vendita. L’associazione Imprenditori Canapa Italia (Ici) ha contestato il provvedimento, ottenendo dal TAR del Lazio, per quattro volte – l’ultima nell’ottobre 2024 – la sospensione del divieto. A maggio dell’anno scorso, il governo ha rilanciato con un emendamento al Ddl Sicurezza che vieta la produzione e il commercio della cannabis light, colpendo un settore da 500 milioni annui. Federcanapa ha denunciato l’incompatibilità con le norme UE, sottolineando i danni a cosmesi, erboristeria e integratori alimentari, ma la maggioranza non ha fatto marcia indietro.
[di Stefano Baudino]