Tra le misure varate dal governo Meloni, il Disegno di legge C1660, noto come “Ddl Sicurezza”, è quello che sta suscitando le maggiori resistenze tra i giovani e i movimenti sociali, che da settimane hanno avviato una campagna di mobilitazione. Dietro il termine rassicurante e propagandisticamente efficace di “sicurezza”, si cela un decreto legge che introduce misure repressive mirate contro le forme di protesta più diffuse, come quelle ambientaliste o contro le grandi opere. Eugenio Losco, avvocato con una lunga esperienza nella difesa di cause legate a proteste e movimenti sociali, ha dichiarato a L’Indipendente che si tratta di «un decreto repressivo concepito in modo organico». Secondo Losco, il provvedimento punta da un lato a criminalizzare il dissenso e dall’altro ad ampliare le tutele per le forze dell’ordine.
Misure contro i movimenti
L’articolo 10 del Disegno di legge introduce il reato di “Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”. Questa norma inasprisce le pene già previste per il reato di occupazione, portandole da un massimo di tre anni a un intervallo compreso tra 2 e 7 anni di carcere. Inoltre, rende punibili anche «chiunque si intromette o coopera nell’occupazione dell’immobile», un dettaglio che appare mirato a criminalizzare chiunque offra solidarietà attiva alle occupazioni, una pratica diffusa tra i movimenti per il diritto alla casa e contro gli sfratti.
L’articolo 11, tra i più controversi del Ddl, modifica le “Norme per assicurare la libera circolazione sulle strade ferrate ed ordinarie e la libera navigazione”. Introduce un’aggravante per i blocchi alla circolazione «commessi all’interno o nelle immediate adiacenze delle stazioni ferroviarie, delle metropolitane o dei convogli passeggeri». Inoltre, trasforma in reato penale – invece che illecito amministrativo – il blocco stradale o ferroviario «con il proprio corpo», punibile con un mese di carcere. La pena aumenta a un periodo tra sei mesi e due anni se il blocco è «commesso da più persone riunite».
Secondo l’avvocato Eugenio Losco, «questa forte penalizzazione del blocco stradale, punibile anche se attuato pacificamente, colpisce direttamente una pratica ampiamente utilizzata dagli operai della logistica, con l’effetto di reprimere le proteste e tutelare gli interessi degli imprenditori, garantendo che le loro attività non siano ostacolate». Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, durante il question time alla Camera del 25 settembre 2024, ha confermato questa intenzione, dichiarando che il decreto punirà azioni che «impediscono l’ingresso e l’uscita di mezzi per il trasporto merci» e «picchettaggi» che «confliggono con l’interesse dell’impresa».
Infine, l’articolo 19 introduce un’aggravante al reato di “Ostruzione della realizzazione di opere pubbliche o infrastrutture”, aumentando le pene di due terzi quando «violenza o minaccia» vengono utilizzate per impedire la realizzazione di opere pubbliche o infrastrutture strategiche. Questa norma sembra indirizzata a colpire chi manifesta contro grandi opere come il TAV o il ponte sullo Stretto di Messina.
Misure contro i detenuti e persone accusate di reati
A essere presi di mira dal Ddl Sicurezza non sono solo i movimenti sociali organizzati, ma anche le fasce più vulnerabili della società. Tra i principali obiettivi figurano i detenuti e gli ex detenuti. Uno dei provvedimenti chiave in tal senso è l’articolo 13, che introduce per legge le cosiddette «zone rosse». Questo articolo consente l’applicazione del DASPO urbano a chiunque, negli ultimi cinque anni, abbia ricevuto una condanna o una denuncia (anche senza condanna) per reati contro la persona o il patrimonio commessi in aree sensibili, come le ferrovie.
L’articolo 13 prevede inoltre che la sospensione condizionale della pena possa essere concessa, ma subordinandola «all’osservanza del divieto, imposto dal giudice, di accedere a luoghi o aree specificamente individuate». Questo rende il DASPO irrevocabile, anche per chi non ha precedenti ed è accusato di reati minori, come il danneggiamento o l’imbrattamento. Tali reati sono oggetto di un’ulteriore stretta punitiva: l’articolo 12 interviene qualora i reati siano commessi durante manifestazioni, mentre l’articolo 24 si applica quando viene colpito un luogo pubblico «con la finalità di lederne l’onore».
In materia di detenuti, l’articolo 15 colpisce specificamente le donne, abolendo l’obbligo del differimento di pena per le madri in gravidanza o con figli di un anno, rendendolo una misura facoltativa.
La modifica più controversa è introdotta dall’articolo 26, che istituisce il reato 415-bis di “Rivolta all’interno di un istituto penitenziario”. Esso punisce «chiunque, all’interno di un istituto penitenziario, partecipa a una rivolta mediante atti di violenza, minaccia o resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti, commessi da tre o più persone riunite». Rientrano tra i punibili anche coloro che attuano «condotte di resistenza passiva», come scioperi della fame. Gli organizzatori delle rivolte, anche in assenza di violenza o danni a persone, rischiano fino a otto anni di carcere.
Misure contro i migranti
All’articolo 26 segue una disposizione che prevede pene analoghe nel caso in cui le proteste avvengano all’interno dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR). I migranti e gli stranieri rappresentano un’altra delle categorie particolarmente colpite dalla stretta repressiva del Ddl.
Le misure restrittive nei confronti dei migranti iniziano dal loro stesso arrivo, con modifiche al codice della navigazione previste dall’articolo 29, e proseguono rendendo più difficoltosa la loro permanenza nel Paese. Tra queste, l’articolo 32 introduce nuovi «obblighi di identificazione degli utenti dei servizi di telefonia mobile», stabilendo che, al momento della sottoscrizione di contratti per l’attivazione di SIM telefoniche, i cittadini extracomunitari debbano esibire documenti che attestino il loro regolare soggiorno in Italia. Il problema di questa norma, evidenziato da diversi giuristi, è l’assenza di deroghe per i cittadini ospitati nei CPR. Questi, non essendo in possesso di un permesso di soggiorno, verrebbero di fatto privati della possibilità di ottenere una scheda telefonica.
Misure di tutela delle forze dell’ordine
Un’altra direttrice del Ddl Sicurezza è quella della tutela e dell’ampliamento dello spazio di manovra per i membri delle forze dell’ordine. Le misure introdotte per perseguire questo obiettivo sono molteplici e includono sia l’aumento delle pene per chi ferisce, resiste o minaccia le forze dell’ordine, sia l’introduzione di maggiori tutele in sede giudiziaria. Gli articoli 22 e 23, in particolare, prevedono il riconoscimento di benefici economici fino a 10.000 euro per ogni fase del procedimento a ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, polizia giudiziaria, vigili del fuoco e membri delle forze armate indagati.
Nelle ultime settimane, dopo il caso di Ramy Elgaml e del carabiniere indagato per aver ucciso un uomo armato di coltello nella notte di Capodanno, il governo ha iniziato a discutere ulteriori misure volte a rafforzare le tutele legali per le forze dell’ordine. Tra queste, si sta valutando l’ipotesi di introdurre nel Ddl una sorta di “scudo penale”. Secondo quanto trapelato, in fase preliminare di studio ci sarebbe un provvedimento che eliminerebbe l’obbligo per i pubblici ministeri di iscrivere automaticamente nel registro degli indagati i membri delle forze dell’ordine accusati di reato, introducendo un filtro preventivo per l’avvio di procedimenti nei loro confronti.
Misure per rafforzare i poteri delle forze dell’ordine
Tra le misure del Ddl che stanno suscitando maggiore preoccupazione tra attivisti, avvocati e magistrati figurano quelle norme che ampliano il raggio d’azione delle forze dell’ordine e dei servizi segreti, aumentando indirettamente anche le “tutele” nei loro confronti.
Questa lista si apre con l’articolo 28, che consente agli agenti di pubblica sicurezza di «portare senza licenza le armi previste dall’articolo 42 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, quando non sono in servizio». In pratica, quasi tutte le forze dell’ordine potranno portare con sé pistole, rivoltelle di qualsiasi misura e bastoni animati (bastoni da passeggio con una lama di almeno 65 centimetri al loro interno) anche al di fuori dell’orario di servizio.
Tra i provvedimenti più discussi si trova anche l’articolo 29, che estende i poteri della Guardia di Finanza e delle navi da guerra nazionali alle navi straniere. Questo stabilisce per queste ultime l’obbligo di rispondere alle richieste di fermo e ispezione, punendo eventuali atti di resistenza. L’articolo 30, invece, amplia i poteri delle forze armate in missioni internazionali, consentendo loro di utilizzare dispositivi e programmi informatici in modalità che altrimenti costituirebbero reati contro l’inviolabilità del domicilio e dei segreti.
L’articolo più controverso è senza dubbio l’articolo 31. Questo obbliga enti pubblici, università, aziende statali e concessionarie di servizi pubblici a collaborare con i servizi segreti, fornendo loro informazioni «anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza». Inoltre, l’articolo estende notevolmente la sfera di operatività dei servizi di intelligence: le eccezioni alle «condotte previste dalla legge come reato per le quali non è opponibile il segreto di Stato» passano da due a oltre dieci. Tra queste, gli operatori di AISE e AISI non solo potranno infiltrarsi in organizzazioni criminali e terroristiche, ma saranno anche autorizzati a dirigerle. Questo legittima reati gravi, come associazione sovversiva, terrorismo interno e banda armata.
[di Dario Lucisano]