mercoledì 12 Febbraio 2025

Sanremo e la normalizzazione in salsa pop del genocidio a Gaza

Per il secondo anno di fila, la Rai si è trovata con una bella gatta da pelare: Sanremo è già iniziato e i palestinesi non ne vogliono sapere di smetterla di farsi ammazzare. Tentando di ripetere e magari superare in qualità la magistrale gestione dell’anno scorso, quando Dargen D’Amico e Ghali furono censurati perchè chiedevano il cessate il fuoco e la fine del genocidio a Gaza, il team dietro il Festival rilancia quest’anno con un’idea geniale: fare esibire sul palco due artiste rappresentanti i due popoli, che portino l’interpretazione di un brano pacifista (Imagine di John Lennon, una scelta per nulla scontata) e indottrinare milioni di italiani riguardo al fatto che sì, la coesistenza pacifica tra i due popoli è possibile. Tutto bene, quindi? No, per niente. Tanto per cominciare, perchè le artiste sono tutte e due israeliane. Poi perchè, come ci si aspettava, il siparietto andato in onda in prima serata sulla tv nazionale racconta il tentativo dell’emittente di Stato di normalizzare la colonizzazione e depoliticizzare la lotta palestinese, trasformandola in una favoletta con un possibile finale felice – se solo Hamas la smettesse di essere brutto e cattivo eccetera eccetera eccetera.

Così, Noa e Mira Awad hanno duettato (e steccato) sulle note di un brano che sogna un mondo senza guerre, dove tutti i popoli possono “vivere la propria vita in pace”. Bello, bellissimo, ma non suona un po’ strano che a cantarla sia un ex membro dell’esercito israeliano? Già, perchè Noa in passato ha militato nelle IDF, come ora lo stanno facendo i suoi figli. Immaginate che distopia, cantare per la pace sul palco di Sanremo mentre i tuoi figli sono in Palestina, probabilmente a massacrare qualche famiglia. Sicuramente avrà preso le distanze da quella manica di assassini, direte. Sicuramente i suoi figli lo fanno perchè il servizio di leva è obbligatorio (d’altronde mica tutti hanno il coraggio di dire no e assumersi il peso delle conseguenze, come i refusenik). Nah. È sempre lei, nei post sui propri social, a parlare delle “eroiche missioni” dell’IDF nell’ambito della guerra a Gaza. A quale operazione si stava riferendo? Nientemeno che al massacro di Nuseirat, nel quale sono stati uccisi 210 civili e feriti altri 400, in un bombardamento definito dalle stesse IDF “senza precedenti”. Non proprio quello che ci si aspetterebbe da una pacifista, perlomeno come la intenderebbe John Lennon. D’altronde, lei stessa si definisce senza mezzi termini una sionista. Le sue critiche nei confronti di Netanyahu non riguardano mica il fatto che sia un criminale di guerra, ma piuttosto il modo in cui spende i soldi delle tasse. Non c’è che dire, sono problemi anche quelli eh.

E Mira Awad? Se proprio vogliamo annoiare coi dettagli, non è esattamente il tipo di personaggio che ci si immaginerebbe essere chiamato a rappresentare il popolo palestinese nel contesto del genocidio in corso. Padre palestinese e madre bulgara, Awad è nata e cresciuta in Israele. È talmente israeliana che nel 2009 ha partecipato all’Eurovision per rappresentare Israele. Non proprio lo stesso che far partecipare un artista di Gaza, o della Cisgiordania insomma. Ma facendo finta che questi particolari siano trascurabili, resta il fatto che il suo pacifismo e la sua critica all’aggressione israeliana hanno lo stesso sapore del caffè solubile: annacquati e privi di consistenza. Il suo attivismo è sciapo e ingenuo, incapace di vedere la complessità del momento e analizzare la questione al di là del muro ipocrita del 7 ottobre (è riuscita a rilasciare una lunghissima intervista a El Pais parlando di pace senza mai pronunciare la parola “colonialismo”): quello, insomma, con cui la Rai, Repubblica e il mainstream italiano vanno a nozze.

Ora, parliamo seriamente per un attimo. Il bilancio di un anno e mezzo di genocidio in Palestina è di 47 mila morti accertati. Il 70% sono donne e bambini. Migliaia di cadaveri ancora sotto le macerie, intere famiglie spazzate via per sempre. 100 mila tonnellate di esplosivo scaricate sulla popolazione, l’88% della Striscia cancellata dalla faccia della Terra. 80 miliardi di dollari di danni, 50 milioni di tonnellate di macerie, oltre 20 anni per riacquisire una parvenza di normalità. 2 milioni di sfollati, il 91% della popolazione senza cibo. Il 95% del bestiame ucciso, il prezzo del pane aumentato dell’11.110%.

Niente di tutto questo ha trovato spazio nello sfavillante teatrino dell’Ariston. Ad andare in onda è la solita solfa “condanniamo Hamas – viva la pace” in salsa pop, spogliata di qualsiasi complessità politica, che ha normalizzato in diretta tv l’occupazione israeliana e il massacro in corso. Che poi lo avete visto, no? Se si israelizzassero un po’ di più, sti benedetti palestinesi, andrebbero certo tutti più d’accordo.

Noi citiamo Ghali, che per carità non sarà John Lennon eh, però “Come fate a dire che qui tutto è normale…?”.

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