Nonostante le proteste dei comitati locali, degli ambientalisti e di numerosi accademici, il Consiglio comunale di Milano ha approvato l’ordine del giorno a sostegno del controverso decreto “Salva Milano”. La normativa, fortemente voluta dall’amministrazione del sindaco Beppe Sala, prevede un allentamento delle regole urbanistiche, facilitando l’approvazione di nuovi progetti edilizi, compresi quelli precedentemente bloccati per mancata conformità al piano urbanistico comunale. Le critiche della società civile sono nette: il provvedimento rischia di aprire le porte a una deregolamentazione che favorisce gli speculatori immobiliari e riduce i margini di controllo sulle costruzioni. A livello nazionale, la legge è stata già approvata alla Camera ed è ora in esame al Senato: nonostante il nome “Salva Milano”, gli effetti del provvedimento non sarebbero limitati alla città meneghina, ma influenzerebbero anche le altre realtà urbane.
Il Consiglio comunale di Milano si è espresso, con 22 sì e 7 no, a favore del via libera del Parlamento al contestato decreto “Salva Milano”. La proposta di legge nazionale, che mira a fornire un’interpretazione autentica di norme urbanistiche esistenti, avrebbe valenza su tutto il territorio italiano. L’ordine del giorno votato dai consiglieri milanesi, proposto da Partito Democratico, Lista Sala e Riformisti, è invece un atto politico locale, senza valore vincolante, ma dal forte significato politico. Il provvedimento ha spaccato la maggioranza. A dire no sono stati tre consiglieri di Europa Verde e uno del PD, che hanno definito il decreto una vera e propria sanatoria edilizia. Il fronte ambientalista e urbanistico si è mobilitato inviando a Palazzo Madama un appello firmato da 180 accademici, tra cui esponenti di spicco come Salvatore Settis e Paolo Maddalena, che hanno denunciato il rischio di un’urbanizzazione selvaggia senza una visione organica della città. Mentre il centrosinistra ha portato avanti l’odg con una maggioranza risicata e frammentata, il centrodestra ha giocato su più tavoli: da un lato la Lega ha espresso contrarietà, con Matteo Salvini che ha però rivendicato la paternità della norma; dall’altro Fratelli d’Italia ha utilizzato il decreto come strumento politico, accusando il PD di incoerenza.
Il provvedimento è al centro di forti critiche perché potrebbe favorire la speculazione immobiliare, incentivando nuove costruzioni senza adeguate garanzie urbanistiche. Nello specifico, il decreto chiarisce infatti che l’approvazione preventiva di un piano particolareggiato o di lottizzazione convenzionata non è obbligatoria per interventi edilizi in aree già urbanizzate, compresi nuovi edifici, demolizioni e ricostruzioni con aumento di volume o altezza, andando a considerare conformi gli interventi realizzati prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, anche senza piani urbanistici approvati, a meno che non sia stata disposta la demolizione. Il provvedimento amplia inoltre la definizione di «ristrutturazione edilizia», includendo demolizioni e ricostruzioni che modifichino sagoma, prospetti e volumetrie, purché rispettino la normativa regionale e comunale, sancendo che gli interventi potranno superare i limiti di altezza e densità stabiliti dalle norme precedenti, salvo che non ci sia un «interesse pubblico concreto» al loro rispetto.
Un ulteriore punto controverso riguarda l’impatto economico del decreto. Ufficialmente si afferma che la norma non avrà costi aggiuntivi per lo Stato, ma tale tesi è stata smentita da Aldo Travi, Professore Emerito di Diritto Amministrativo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. In una comunicazione inviata al Senato, Travi ha evidenziato che l’approvazione del provvedimento comporterà invece oneri aggiuntivi per gli enti locali. Infatti, ha scritto il docente, «i Comuni che, attenendosi a una corretta interpretazione della legge e agli orientamenti giurisprudenziali, hanno qualificato gli interventi come nuove costruzioni, e non come ristrutturazioni edilizie, dovranno restituire ai cittadini gli importi riscossi in più: come è noto, infatti, i contributi per le nuove costruzioni sono più elevati di quelli per le ristrutturazioni edilizie».
Intanto, fuori da Palazzo Marino, la mobilitazione contro il decreto non si è fermata. Comitati civici, sindacati e associazioni ambientaliste hanno manifestato per denunciare una visione urbanistica che mette al primo posto gli interessi dei grandi gruppi immobiliari a discapito della sostenibilità e della qualità della vita dei cittadini. «Salviamo Milano dal cemento», recitavano gli striscioni esposti dai manifestanti, mentre il dibattito interno alla maggioranza rivelava tutte le contraddizioni della politica urbanistica dell’amministrazione Sala. Secondo i dimostranti, il provvedimento rappresenta una chiara vittoria della speculazione edilizia sulla pianificazione urbanistica, aggravando i problemi di vivibilità della città.
[di Stefano Baudino]