sabato 15 Febbraio 2025

PFAS, chiesti in tutto 121 anni di carcere per i dirigenti dell’azienda che inquinò il Veneto

121 anni e 6 mesi di carcere complessivi per nove dei quindici imputati. Questa la richiesta avanzata dalla Procura alla Corte d’Assise di Vicenza al termine di una lunga e dettagliata requisitoria nel processo contro i vertici delle società che si sono susseguite nel controllo dello stabilimento Miteni di Trissino, inquadrati come responsabili del più grave caso di avvelenamento delle acque da PFAS in Europa. Il processo, iniziato nell’estate 2021, vuole far luce sulla contaminazione della falda, e poi degli acquedotti, nelle province di Vicenza, Verona e Padova, che ha coinvolto almeno 350mila persone. Se il verdetto confermasse l’impianto accusatorio dei pubblici ministeri, potrebbe diventare una pietra miliare nella giurisprudenza ambientale, segnando un precedente per la responsabilità delle multinazionali nell’inquinamento di interi territori.

Le richieste più pesanti riguardano sei ex manager: due dirigenti della Mitsubishi Corporation (che alla fine degli anni Ottanta costituì la Miteni) e quattro dirigenti della lussemburghese Icig (cui Miteni era stata ceduta nel 2009), con pene tra i 16 e i 17 anni di reclusione. Per altri sei imputati, invece, la Procura ha chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto. L’accusa ha inoltre chiesto la confisca di 437.500 euro per la Miteni e per tre ex dirigenti. «La governance di Miteni avrebbe dovuto in tempi non sospetti chiudere i rubinetti, togliere la spugna, ripulire tutto, ossia fare una serie di investimenti che non ha mai fatto – ha detto in aula nel corso della requisitoria il pm Hans Roderich Blattner -. Le scelte imprenditoriali sono state tossiche tanto quanto gli sversamenti fatti in questi anni». L’accusa ha sottolineato come Miteni fosse pienamente consapevole della contaminazione. Il pm Paolo Fietta ha spiegato come già all’inizio degli anni 2000 il medico del lavoro dell’azienda, Giovanni Costa, aveva partecipato a conferenze internazionali sull’impatto dei PFAS sulla salute umana. Aveva persino analizzato il sangue dei dipendenti di Trissino, riscontrando livelli allarmanti di queste sostanze. Nonostante ciò, nessun intervento è stato attuato per fermare l’inquinamento. L’accusa ha anche ricostruito il tentativo della Miteni di insabbiare il problema. Nel 2005 l’azienda chiese al Genio Civile di installare nuovi pozzi, sostenendo la necessità di prelevare acqua per uso industriale. In realtà, i pozzi servivano a monitorare la contaminazione, già nota alla dirigenza grazie a precedenti analisi ambientali. «Sono relazioni che dimostrano che i vertici di Miteni erano a conoscenza dello sversamento di PFAS nell’ambiente – ha affermato Fietta –. Dovevano comunicare che ci fosse una contaminazione in corso alle autorità e così si partiva con la messa in sicurezza già vent’anni fa. Bastava dirlo e si sarebbe agito con prontezza. Invece è stato tutto nascosto».

La vicenda processuale aveva avuto origine dalla scoperta, nel 2013, del grave inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche di una vasta falda acquifera che ha coinvolto circa 350mila cittadini nelle aree di Vicenza, Verona e Padova. Su spinta delle associazioni ambientaliste, tra il 2015 e il 2016 partì una rilevazione a campione nei comuni interessati che evidenziò valori elevati di PFAS nel sangue dei residenti: così, nel marzo 2018, il governo dichiarò lo stato di emergenza con il divieto di consumo di acqua potabile e l’istituzione di una zona rossa in 30 comuni. Un nuovo studio condotto da scienziati dell’Università degli studi di Padova, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Enviromental Health, ha calcolato che proprio all’interno di questa area rossa, tra il 1985 e il 2018, si è verificato un aumento di mortalità per malattie cardiovascolari e malattie neoplastiche maligne. Nel frattempo, lo scorso maggio il TAR del Veneto ha sancito che anche il colosso giapponese Mitsubishi Corporation è chiamato a sobbarcarsi i costi per la bonifica dei veleni disseminati nei pressi dell’ex Miteni di Trissino. I giudici hanno infatti ritenuto responsabili dell’inquinamento tutte le società che negli anni hanno detenuto il controllo dello stabilimento.

[di Stefano Baudino]

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