La Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione contro le «condizioni di lavoro discriminatorie» in cui lavorerebbero gli insegnanti a tempo determinato. Di preciso, si legge nella nota [1] di comunicazione, la Commissione contesta all’Italia di non aver adeguato pienamente la legislazione nazionale alla direttiva sul lavoro a tempo determinato: «Secondo la legge italiana, gli insegnanti a tempo determinato non hanno diritto ad una progressione retributiva progressiva in base ai periodi di servizio precedenti, a differenza degli insegnanti a tempo indeterminato», regolamento che violerebbe «il principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo determinato» e conseguentemente «il diritto dell’UE». Ora l’Italia ha due mesi di tempo per rispondere e colmare le carenze sollevate dalla Commissione.
La Commissione ha notificato la procedura di infrazione all’Italia mercoledì 12 febbraio, inviando una lettera di costituzione in mora a Roma. La nota diffusa dall’organo europeo elenca la procedura nella sezione 8, sotto le infrazioni relative ai temi di lavoro e diritti sociali, e quella all’Italia è l’unica della categoria. La Commissione denuncia in particolare la violazione della direttiva [2] 1999/70 del Consiglio scritta con lo scopo di “dare attuazione all’accordo quadro sui contratti a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999 tra le organizzazioni generali interprofessionali”. Di preciso, l’Italia violerebbe la clausola 4 della direttiva, relativa al principio di non discriminazione sul luogo di lavoro, che, al punto 1, determina che “per quanto riguarda le condizioni di lavoro, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato” salvo per “motivi oggettivi”. La mancata progressione stipendiale per scatti di anzianità violerebbe il punto 4 della clausola, che stabilisce in maniera piuttosto limpida che “le qualifiche di anzianità di servizio relative a particolari condizioni di lavoro sono le stesse per i lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato”, sempre ammettendo eccezioni in singoli casi. Ora l’Italia ha due mesi di tempo per fornire una risposta “soddisfacente” alla Commissione e per adottare le misure necessarie. Nel caso in cui il governo non dovesse muoversi per tempo, la Commissione emetterà un parere motivato, aprendo la strada a possibili sanzioni per il Paese.
In Italia secondo gli ultimi dati [3] del Ministero dell’Istruzione e del Merito, aggiornati al 31 agosto 2023, a fronte di 943.681 docenti, 234.576 hanno un contratto a tempo determinato. Si tratta del 24,85% degli insegnanti, in proporzione più del doppio di quelli che si contavano nell’anno scolastico 2015-2016. In questi ultimi nove anni, la crescita della sproporzione tra insegnanti precari e docenti a tempo indeterminato non si è mai arrestata, ma il ritmo è rallentato a partire dal 2021. Nel periodo più recente, dei 709.105 professori di ruolo, solo 29.202 avevano meno di 34 anni, contro i 301.126 over 54. Secondo un’analisi dell’OCSE [4], gli insegnanti in Italia tendono ad essere relativamente anziani rispetto alla media: il 60% degli insegnanti della scuola secondaria superiore ha 50 anni o più, mentre la media OCSE è solo del 40%; a disincentivare l’ingresso di giovani all’insegnamento, sono certamente gli stipendi effettivi medi degli insegnanti, che toccano solo il 69% del salario di altri lavori accessibili con istruzione terziaria in Italia. Oltre un terzo (80.123) dei precari italiani nell’istruzione, inoltre, ha più di 44 anni tanto che l’età media [5] per entrare di ruolo è compresa tra i 40 e i 50 anni. Malgrado ciò, il ministero dell’Istruzione ha messo in atto una strategia per escludere dai concorsi [6] i precari più anziani. Di fronte a questo scenario di totale deriva della scuola pubblica, il governo continua ad aumentare i finanziamenti alle scuole private [7], continuando intanto a mantenere la spesa pubblica per l’istruzione al di sotto della media OCSE di quasi un punto.
[di Dario Lucisano]