Sono giunti a destinazione i pullman con a bordo decine di prigionieri palestinesi, nell’ambito dello scambio che prevedeva il rientro del maggior numero di detenuti dall’inizio della tregua. Tra le persone liberate, 36 scontavano l’ergastolo nelle carceri israeliane, mentre altri 333 erano stati rapiti dall’esercito dello Stato ebraico a partire dal 7 ottobre 2023. Sono dunque 369 i palestinesi che possono tornare nelle proprie case, che si aggiungono agli altri 766 rientrati in occasione dei precedenti scambi, per un totale di 1.135 prigionieri liberati. Malgrado gli ormai consueti tentativi di smorzare l’entusiasmo da parte dell’esercito israeliano, in rete iniziano a circolare i primi video di festeggiamenti da parte della popolazione palestinese. La liberazione dei prigionieri è stata in bilico fino a giovedì 13 febbraio, quando Hamas, in seguito a una serie di colloqui con gli alleati, ha annunciato che avrebbe dato seguito al rilascio degli ostaggi israeliani. Circa una settimana fa, lo stesso gruppo palestinese aveva infatti dichiarato che avrebbe trattenuto gli ostaggi a causa delle «continue violazioni degli accordi» da parte di Israele; del resto, oggi stesso, sabato 15 febbraio, a Khan Younis, un ragazzo sarebbe stato gravemente ferito dagli spari dell’esercito di Tel Aviv.
I pullman di prigionieri sono partiti nella mattina di oggi e sono arrivati a destinazione in tarda mattinata. Il viaggio prevedeva due convogli: uno diretto a Ramallah, con a bordo 36 ergastolani, e un secondo, composto – come mostrano i video condivisi dai media arabi – da almeno una dozzina di veicoli, diretto a Khan Younis. Dei 36 ex detenuti a vita, 24 verranno deportati in Egitto, mentre 12 dovrebbero rimanere in Cisgiordania; almeno 4 di essi sono stati presi in carico dalla Mezzaluna Rossa Palestinese a causa delle loro condizioni di salute precarie. Molti dei 333 prigionieri arrivati nella Striscia di Gaza, invece, sono stati ricevuti dalla Croce Rossa per ricevere le cure mediche necessarie, che verranno loro fornite presso l’ospedale Europeo di Khan Younis. Il più anziano di questo sesto scambio è Musa Nawawra, di Betlemme: Musa ha 71 anni, di cui gli ultimi 28 passati in carcere, dove scontava due ergastoli e una pena di 21 anni. In cambio dei 369 palestinesi, Hamas ha rilasciato 3 israeliani.
Sin dalla mattina, malgrado i tentativi di impedirlo da parte dell’esercito israeliano, il popolo palestinese si è radunato per le strade per festeggiare il rientro dei propri cari. Sul web circolano video che ritraggono le forze israeliane intente a sparare lacrimogeni vicino alla casa del detenuto palestinese Nael Obeid ad Al-Isawiya, nella Gerusalemme occupata, per impedire lo svolgimento delle cerimonie di benvenuto organizzate. L’esercito avrebbe inoltre invaso le case e attaccato le famiglie dei prigionieri Hafez Sharay’a, Abdel-Rahman Miqdad, Mazen al-Qadi e dello stesso Musa Nawawra. Oltre a ciò, i media arabi riportano che l’esercito israeliano avrebbe aperto il fuoco nella città di Khuza’a, a est di Khan Younis, ferendo gravemente un «giovane uomo». In generale, dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, sarebbero state registrate violazioni israeliane quasi ogni giorno, a esclusione di qualche sabato che coincideva con lo scambio di prigionieri, e le autorità palestinesi parlano di circa 100 morti dal 19 gennaio.
In occasione della liberazione dei prigionieri, Hamas ha organizzato un vistoso ricevimento per i 333 detenuti che dovevano rientrare nella Striscia, per lanciare un chiaro messaggio a Israele e ai suoi alleati: «Il rilascio del sesto gruppo di prigionieri nemici è la conferma che non c’è modo di liberarli se non attraverso negoziati e l’impegno a rispettare i requisiti dell’accordo di cessate il fuoco», ha scritto Hamas, in riferimento alle accuse di ripetuta violazione degli accordi che in un primo momento avevano fatto dubitare che lo scambio odierno sarebbe potuto avvenire. «Non c’è migrazione se non verso Gerusalemme», ha aggiunto il gruppo, in risposta «a tutti gli appelli allo sfollamento e alla liquidazione lanciati da Trump e da coloro che sostengono il suo percorso contro le forze del colonialismo e dell’occupazione». In questo passaggio, il riferimento è al piano di deportazione avanzato da Trump, che ha proposto uno sfollamento di massa dei palestinesi dalla Striscia per costruire la nuova «Riviera del Medio Oriente», in un vero e proprio «investimento immobiliare». Hamas, inoltre, ha rilanciato la propria volontà ad aprire il tavolo delle trattative per concordare i dettagli della seconda fase della tregua.
Nel frattempo, con la stessa benedizione di Trump, continuano le aggressioni dei coloni e l’operazione “Muro di Ferro” in Cisgiordania. Nel governatorato di Nablus si sono registrati scontri, specialmente nella città di Beita; a Betlemme i coloni hanno dato fuoco a due veicoli e ferito, riporta la Mezzaluna Rossa, 16 palestinesi durante un attacco al villaggio di Al-Minya; a Tulkarem continuano le aggressioni e gli arresti presso il campo profughi; a Jenin l’esercito israeliano ha sparato e arrestato un giovane accusandolo di portare una cintura esplosiva, per poi negare le sue stesse affermazioni. Sempre a Jenin, l’assedio israeliano va avanti da 25 giorni: l’esercito ha distrutto quasi 500 unità abitative, ucciso circa 50 persone, privato il 35% dei residenti di acqua, portato avanti 153 raid verso abitazioni e 14 attacchi aerei, arrestato almeno 150 persone. Proprio riguardo agli arresti di Jenin e Tulkarem, va sottolineato che, malgrado Israele stia liberando centinaia di prigionieri, con la scusa dell’operazione Muro di Ferro, ne sta arrestando altrettanti. Secondo gli stessi media israeliani, dieci giorni fa, in Cisgiordania, l’esercito aveva arrestato almeno 380 palestinesi. Dal 7 ottobre, mentre a Gaza si susseguivano stragi, in Cisgiordania venivano condotti raid per arrestare i cittadini; le ultime stime ufficiali parlano di oltre 10.000 arresti dall’avvio dell’operazione “Spade di Ferro”, dello stesso 7 ottobre 2023.
[di Dario Lucisano]