mercoledì 19 Febbraio 2025

Gaza: le nazioni arabe cercano un piano alternativo al crimine elaborato da Trump

Dopo la presentazione del piano di deportazione dei palestinesi da parte del presidente Trump, i Paesi arabi stanno accelerando le discussioni per elaborare una soluzione alternativa per il futuro di Gaza. A guidare i colloqui sono Arabia Saudita, Egitto, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Giordania, che dovrebbero incontrarsi giovedì 27 febbraio a Riyad. Per ora, la proposta più considerata sembra essere quella avanzata dall’Egitto, che prevede l’individuazione di una serie di «aree sicure» dove collocare le abitazioni temporanee per gli sfollati, mentre nel frattempo verrebbero portati avanti i lavori di smaltimento e ricostruzione. La grande incognita resta ancora quella della futura amministrazione: Israele chiede che Hamas e Autorità Nazionale Palestinese vengano tagliate fuori da ogni possibile ruolo di gestione della Striscia, richiesta che funzionari di Hamas hanno detto di essere pronti ad accettare a condizione di avere voce in capitolo sulla scelta della prossima guida. Israele, invece, sembra volere perseguire il suo obiettivo di eradicazione totale di Hamas, come dimostra l’uccisione di un alto comandante del gruppo arrivata proprio ieri.

Il piano egiziano per la ricostruzione di Gaza non è ancora stato presentato, ma il quotidiano statale Al-Ahram, l’agenzia di stampa Associated Press e l’agenzia di stampa Reuters hanno fornito alcuni dettagli preliminari. Da quanto comunicano le fonti, l’Egitto avrebbe pensato a un piano strutturato in tre fasi. L’idea egiziana è quella di designare tre «zone sicure» all’interno di Gaza dove ricollocare i palestinesi per un «periodo di recupero preliminare» di sei mesi. Tali aree sarebbero dotate di case mobili e rifugi, e verrebbero messe in piedi con afflussi di aiuti umanitari e con il sostegno di «24 multinazionali» e diverse società egiziane. Nel frattempo verrebbero portati avanti i lavori di ricostruzione. La manodopera di questi ultimi dovrebbe venire affidata almeno in parte alla stessa popolazione gazawi, visto che i funzionari egiziani hanno detto che la ricostruzione genererebbe «decine di migliaia di posti di lavoro». Durante questa fase, il piano di ricostruzione dell’Egitto per Gaza prevede la costruzione di unità abitative sicure entro 18 mesi e l’istituzione di altre zone abitative temporanee, per arrivare a un totale di venti aree. L’intera restaurazione, invece, dovrebbe durare 5 anni.

Ancora incerte le modalità di finanziamento dei lavori, per cui tuttavia il ruolo del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman si preannuncia fondamentale. Funzionari sauditi hanno detto che questo febbraio il fondo sovrano del Paese terrà una conferenza a Miami, alla quale dovrebbe partecipare lo stesso Trump, ma non sono arrivate conferme dai funzionari statunitensi; anche le fonti egiziane parlano di una possibile «conferenza internazionale per la ricostruzione di Gaza», senza tuttavia fare esplicito riferimento a Miami. Pare che per il pagamento dei lavori dovrebbe venire istituito un fondo ad hoc, che potrebbe coinvolgere il denaro internazionale e dei Paesi del Golfo. Gli stessi Paesi del Golfo, tuttavia, chiedono garanzie che Israele non distrugga di nuovo la Striscia: per tale motivo è emersa la possibilità di istituire una zona cuscinetto in cui costruire una barriera fisica per impedire la costruzione di tunnel attraverso il confine di Gaza con l’Egitto.

Ultima, ma non meno importante la questione della futura gestione della Striscia. Anche in questo caso, il ruolo del principe saudita sembra essere particolarmente rilevante. L’Arabia Saudita, infatti, ha dichiarato che il processo di normalizzazione con Israele passa da un necessario riconoscimento di uno Stato palestinese. Ieri, lunedì 17 febbraio, Mohammed bin Salman ha ricevuto il segretario di Stato USA Marco Rubio per parlare, oltre che di Ucraina, proprio di Gaza e della futura guida della Striscia. Il piano egiziano prevede l’istituzione di una sorta di governo di unità nazionale, da cui Hamas ha detto che sarebbe pronta a rimanere fuori a patto di potere nominare alcuni dei rappresentanti. Israele continua a mostrarsi chiusa verso una possibile amministrazione con a capo Hamas o l’ANP, e per quanto Hamas abbia affermato di essere disposta ad accettare tale condizione, non è detto che Israele sia pronta a fare lo stesso con le richieste dell’organizzazione palestinese. L’eradicazione di Hamas sembra infatti essere ancora una condizione di primaria importanza per Israele, come dimostrano le continue violazioni di cessate il fuoco a Gaza e in Libano, che ieri hanno portato all’uccisione del comandante di Hamas in Libano Mohammed Shahine, e di tre poliziotti di Hamas a Gaza. Netanyahu, inoltre, ha ribadito il suo pieno appoggio al piano di Trump, mostrando di non avere alcuna intenzione di riconoscere uno Stato palestinese.

[di Dario Lucisano]

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1 commento

  1. Insomma come diveva Benigni nel film Jhonny Stecchino “E’ tutto un mangia manguia generale”. Da quello che avete scritto si capisce IMPLICITAMENTE che i Paesi Arabi faranno fare a TRump quello che vuole purchè loro abbiano una grossa “fetta” nei lavori di costruzione dlla “Riviera”

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