mercoledì 19 Febbraio 2025

Negli allevamenti lombardi si continuano a uccidere gli animali positivi al Covid

Gli allevamenti di visoni sono tornati sotto i riflettori per una gestione opaca e preoccupante in relazione alla diffusione del Covid tra gli esemplari. A Capergnanica, centro in provincia di Cremona, si è infatti registrato un nuovo focolaio di SARS-CoV-2, con la conseguente eliminazione di circa 900 esemplari. A rivelarlo è stata la Lega Antivivisezione (LAV), che ha ottenuto i risultati dei tamponi processati dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (IZLER) tra settembre 2024 e gennaio 2025. Ciò che più allarma è che il focolaio sarebbe stato identificato già nell’ottobre 2024, ma le autorità sanitarie hanno preferito agire abbattendo gli animali senza rendere pubblica la notizia.

La LAV ha evidenziato come, invece di fornire un’informazione tempestiva e trasparente, si sia optato per l’uccisione degli animali in silenzio. L’associazione ha denunciato che ciò che resta oggi in quell’area sono «cumuli di escrementi accessibili agli uccelli selvatici, dannosi per la salute pubblica e da trattare come rifiuti pericolosi». Simone Pavesi, responsabile LAV Area moda Animal Free, ha dichiarato che «tutti questi animali avrebbero potuto avere una nuova vita, liberi dalle gabbie e da ogni forma di sfruttamento, se solo i Ministri dell’Agricoltura, prima Stefano Patuanelli e poi Francesco Lollobrigida, avessero permesso il trasferimento dei visoni dagli allevamenti ai centri di recupero gestiti dalle associazioni». Al contrario, ha aggiunto Pavesi, «stiamo assistendo ad una lenta e prolungata agonia che questi animali devono patire ogni giorno, senza considerare anche il rischio per la salute pubblica». Si è infatti scelta la strada dell’eliminazione sistematica, lasciando che la situazione sanitaria degli allevamenti rimanesse avvolta nell’ombra. Questo episodio, però, non è un caso isolato. Dal 2020, in Italia, si sono registrati ben cinque focolai di SARS-CoV-2 negli allevamenti di visoni, nonostante l’introduzione di misure di biosicurezza. I primi episodi risalgono al 2020 e al 2021 negli allevamenti di Capralba (Cremona) e Villa del Conte (Padova). Successivamente, altri casi sono stati individuati nel 2022 a Galeata (Forlì-Cesena) e nel 2023 in Lombardia, a Calvagese della Riviera. Tutto ciò nonostante l’entrata in vigore, a gennaio 2022, del divieto di allevamento di visoni e altri animali “da pelliccia”. Di fronte all’ennesimo caso, la LAV è tornata a chiedere con urgenza la chiusura definitiva di tutti gli allevamenti ancora esistenti e la liberazione degli ultimi 400 visoni ancora prigionieri in strutture intensive.

Nel suo dossier “Fashion Spillover”, pubblicato dalla LAV nel 2022, l’associazione già denunciava l’inefficacia delle misure di biosicurezza per prevenire il contagio all’interno degli allevamenti intensivi. Il documento ha evidenziato come gli allevamenti di visoni abbiano rappresentato un pericoloso serbatoio del virus, facilitando la trasmissione uomo-visone-uomo. Già dal 2020 si sono registrati numerosi focolai in Europa e Nord America, con misure di contenimento spesso inefficaci o tardive. In paesi come Olanda, Danimarca e Spagna, le autorità hanno abbattuto milioni di animali per fermare la diffusione del virus. In Italia la risposta è stata insufficiente e tardiva: il governo ha inizialmente evitato test diagnostici obbligatori e, solo dopo le pressioni della LAV, ha disposto la chiusura temporanea degli allevamenti. Secondo la LAV, l’industria della moda ha una grande responsabilità nella diffusione del virus. Il settore delle pellicce, pur essendo ormai in declino, continua a incentivare la presenza di allevamenti intensivi che, oltre alla sofferenza animale, rappresentano un pericolo sanitario e ambientale.

[di Stefano Baudino]

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