venerdì 21 Febbraio 2025

Un leader indigeno e anticapitalista sarà l’ago della bilancia nel futuro dell’Ecuador

Il prossimo 13 aprile in Ecuador si svolgerà il secondo round delle elezioni presidenziali, nelle quali il presidente uscente Daniel Noboa e la rappresentante della sinistra Luisa Gonzalez si contenderanno la guida del Paese per i prossimi quattro anni. Durante il primo turno, i due candidati si sono divisi in maniera pressochè uguale il 90% delle preferenze. Per questo motivo, ora per assicurarsi la maggioranza sarà necessario guadagnarsi l’appoggio del candidato arrivato terzo. Si tratta di Leonidas Iza, leader indigeno che ha collezionato oltre il 5% delle preferenze, ovvero all’incirca mezzo milione di voti. Iza ha già fatto sapere che l’appoggio all’uno o all’altro candidato non è affatto scontato e che, comunuque, la decisione verrà presa in maniera collettiva insieme ai membri del Movimento Pachakutik, il suo gruppo politico, per dimostrare alla politica che «il voto non appartiene nè ai leader nè ai partiti», ma alla collettività e al popolo.

Leonidas Iza è una figura tutt’altro che nuova per la storia politica recente del Paese: dirigente del CONAIE (la Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador), nel 2022 era infatti stato a capo delle rivolte antigovernative che provocarono una profonda crisi del Paese, culminata con le dimissioni dell’ex presidente Guillermo Lasso. Proprio il CONAIE aveva infatti redatto una lista di 10 richieste per migliorare le condizioni di vita dei cittadini – tra queste, riduzione e congelamento del prezzo dei carburanti, maggiori garanzie e tutele per agricoltori e allevatori e lo stop allo sfruttamento estrattivo e minerario – e indetto uno sciopero nazionale per costringere il governo a intavolare un dialogo. Durante le rivolte, Iza era stato arrestato e rilasciato con l’accusa di aver bloccato i servizi pubblici del Paese. Nel pretenderne la liberazione, gli indigeni avevano «preso in custodia» diversi agenti di polizia. Una volta liberato, Iza aveva continuato a guidare la ribellione, pretendendo risposte concrete dal governo e cercando di coinvolgere anche la popolazione non indigena.

A votare Iza è stata tutta quella frangia di popolazione “antisistema”, stanca di dover scegliere tra quello che lui aveva definito un governo di destra «fascista» (quello di Noboa) e una finta sinistra di «socialdemocratici» (rappresentata da Gonzalez) e propenso a dare allo Stato una direzione anticapitalista. La vera sinistra, aveva dichiarato Iza durante un’intervista, «siamo noi, che difendiamo l’ecologia e il territorio per la vita, per il consumo interno del Paese». Il suo programma elettorale era fondato in primo luogo sul riconoscimento di uno Stato plurinazionale e della giustizia indigena. Insieme a questi due punti, un’importanza fondamentale la ricoprivano il diritto all’autodeterminazione dei popoli, la sovranità alimentare e la transizione ecologica, oltre che il miglioramento della situazione economica e lavorativa del Paese. Iza proponeva una completa riforma del sistema delle carceri, la rinegoziazione degli accordi economici con il Fondo Monetario Internazionale e, in generale, la creazione di «un modello nel quale il rispetto alla vita, alla giustizia, alla scienza e alla democrazia prevalgano sul capitale come asse centrale delle nostre decisioni e delle nostre forme di vita». A guidare il lavoro del governo, secondo il leader indigeno, avrebbero dovuto essere i principi «della reciprocità, della proporzionalità e della correlazione integrale».

Iza ha già fatto sapere che non vi sarà alcun endorsment per nessuno dei due candidati ora in lista fino a che il Movimento Pachakutik non deciderà collettivamente se uno dei due programmi è davvero votato alla crescita e al benessere del Paese. In caso contrario, non verrà appoggiato nessuno dei due. Non sarò io a definire l’esito delle elezioni, ha dichiarato Iza, ma «il potere politico collettivo». Questo per dimostrare alla politica che è possibile coniugare «la democrazia comunitaria, quella diretta e quella rappresentativa». «Non facciamo endorsment a nessuno, noi sosteniamo una proposta per il Paese», ha dichiarato. «La vecchia politica è rappresentata in questo momento dal candidato della destra [Noboa, ndr], che è disposto ad annientare i popoli. Ci siamo confrontati con questa politica vecchia di 200 anni, quando i movimenti indigeni e popolari non venivano nemmeno considerati nel definire questo Paese. Su questo abbiamo vinto». Proprio per questo motivo, appare alquanto improbabile che la scelta possa ricadere sul governo di Daniel Noboa. Il processo decisionale, tuttavia, sarà lento: ai candidati, riferisce il leader, toccherà avere pazienza.

[di Valeria Casolaro]

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