Mentre a Gaza si consuma una delle più gravi tragedie umanitarie del nostro tempo, l’industria della difesa italiana registra risultati da record. Leonardo, colosso dell’aerospazio e della sicurezza, ha infatti chiuso il 2024 con numeri che certificano una crescita impetuosa: ricavi a 17,8 miliardi di euro (+11,1%), ordini per 20,9 miliardi (+16,8%) e un margine operativo lordo (EBITDA) di 1,525 miliardi (+12,9%). Una performance che ha superato le previsioni degli analisti e che testimonia come il perdurare delle tensioni geopolitiche alimenti i profitti dell’industria bellica. In una nota diramata dall’azienda, si legge che è «di particolare rilievo l’apporto dell’elettronica per la difesa e sicurezza, sia nella componente europea, sia, in particolare, in quella statunitense, e nel business elicotteri». Un mercato su cui Leonardo continua a investire, avendo iniziato a inviare gli elicotteri AgustaWestland AW119Kx “Koala-Ofer” a Israele per l’addestramento dei suoi piloti.
Dietro questi numeri si cela una verità scomoda: il boom degli affari di Leonardo è trainato dalla crescente domanda di armamenti alimentata dai conflitti in corso, tra cui l’invasione russa dell’Ucraina e l’offensiva israeliana su Gaza. L’azienda, partecipata per il 30,2% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano, ha rafforzato la sua posizione come attore chiave del settore Difesa, beneficiando degli investimenti crescenti dei governi occidentali per il riarmo. Gli ordini nel settore dell’Elettronica per la Difesa hanno raggiunto quota 10,3 miliardi, in crescita rispetto ai 9 miliardi del 2023. In forte espansione anche la divisione Cybersecurity, passata da 692 a 833 milioni di euro di ordini in un solo anno. Anche la produzione di velivoli ha registrato un balzo significativo, con una crescita del 20,8% degli ordini. Uno dei segmenti più redditizi per Leonardo è rappresentato dalla sua partecipazione in MBDA, il consorzio europeo dei missili, che fornisce armamenti a Kiev nel contesto della guerra contro la Russia.
A trainare gli affari dell’azienda è al momento anche il progetto internazionale GCAP (Global Combat Air Program), che vede l’Italia affiancata a Regno Unito e Giappone nello sviluppo di un caccia di sesta generazione, destinato a sostituire gli Eurofighter dal 2035. Lo scorso dicembre è stata siglata la joint venture paritaria che guiderà la produzione del nuovo velivolo, con Leonardo capofila per la parte italiana. A completare il quadro si aggiunge un’altra alleanza strategica: la joint venture sui droni con il colosso turco Baykar, che verrà finalizzata nelle prossime settimane. Questo accordo posiziona Leonardo in un segmento di mercato in forte espansione, con droni che giocano un ruolo sempre più centrale nelle moderne operazioni militari, come dimostrato proprio dai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente. L’azienda ha inoltre incrementato del 12,6% il proprio organico, assumendo quasi 7.000 nuovi lavoratori, con particolare attenzione ai giovani under 30, che oggi rappresentano il 15% dei dipendenti.
Nel frattempo, Leonardo continua a fare affari con Tel Aviv. Dopo aver consegnato nei mesi scorsi 30 aerei da addestramento M-346, l’azienda ha cominciato a inviare elicotteri AgustaWestland AW119Kx “Koala-Ofer” per addestrare i piloti della Israel Air Force (IAF) presso la base aerea di Hatzerim, nel deserto del Negev. Questi velivoli sostituiranno i più datati Bell-206 “Saifan”, offrendo avanzate tecnologie di avionica e capacità di volo notturno. La vendita fa parte di una serie di trattative iniziate nel 2019 e concluse nel 2022, che prevedono la fornitura di 16 elicotteri e servizi logistici per 20 anni, per un valore totale di almeno 67 milioni di dollari.
Anche il 2023 era stato chiuso da Leonardo con risultati record, registrando ordini sopra le previsioni a 17,9 miliardi di euro (+3,8%) e ricavi per un ammontare di 15,3 miliardi (+3,9% rispetto al 2022), in parte anche grazie all’aggressione a Gaza. L’importante ruolo delle armi “Made in Italy” a Gaza è stato evidenziato dagli stessi israeliani, che hanno dichiarato al sito specializzato Israel Defense che i missili che hanno colpito la Striscia provenivano anche da cannoni fabbricati in Italia e venduti a Tel Aviv. Un dato citato anche dall’Osservatorio sulle armi nei porti europei e mediterranei The Weapon Watch, che ha pubblicamente smentito l’azienda, dopo che quest’ultima aveva affermato che l’esercito israeliano non stesse utilizzando mezzi di sua produzione nella carneficina di Gaza.
[di Stefano Baudino]