martedì 25 Febbraio 2025

Il Brasile entra nell’OPEC+, ma alle sue condizioni: no ai tagli alla produzione di petrolio

Il Brasile ha accettato l’invito dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC) di unirsi al gruppo OPEC+ che riunisce, oltre ai tredici membri effettivi, altri dieci produttori di petrolio, tra cui la Russia che è il terzo produttore di petrolio al mondo. La decisione è stata presa nel corso della riunione del Consiglio nazionale per la politica energetica (Cnpe) ed è stata annunciata dal ministro dell’Energia brasiliano Alexandre Silveira. Il Brasile è entrato nel gruppo alle proprie condizioni, tenendo conto innanzitutto dei suoi interessi nazionali: la Nazione sudamericana, infatti, non sarà vincolata agli obblighi sui tagli alla produzione, ma potrà partecipare solo con un ruolo consultivo, soprattutto per quanto concerne l’andamento dei prezzi del petrolio. Questa scelta riflette, dunque, la volontà del Brasile di perseguire il proprio sviluppo interno e di far parte delle nazioni che contano, acquisendo influenza a livello internazionale, come attore chiave delle politiche energetiche. Tuttavia, si tratta di una decisione che si scontra con la visione “progressista” e ambientalista che il presidente Lula ha dichiarato di voler sostenere negli ultimi anni, tanto che l’annuncio dell’ingresso nell’OPEC+ ha immediatamente suscitato la reazione degli ambientalisti, secondo i quali il Brasile, aderendo all’organizzazione dei maggiori produttori di petrolio, invia «un segnale sbagliato al resto del mondo». Nonostante ciò, l’ingresso nell’OPEC+ rappresenta una svolta geopolitica ed economica per il Paese sudamericano.

«Il Brasile è stato invitato a far parte del gruppo di cooperazione e oggi abbiamo autorizzato l’avvio del processo di adesione», ha dichiarato Silveira alla stampa. «Si tratta solo di un forum per discutere le strategie dei Paesi produttori di petrolio. Non dovremmo vergognarci di essere produttori di petrolio», ha aggiunto con un chiaro riferimento alle critiche degli ambientalisti. L’associazione Greenpeace, infatti, ha duramente contestato l’iniziativa del governo brasiliano: «Il Brasile sta andando controcorrente cercando di unirsi a un gruppo che funziona come un cartello del petrolio, impegnandosi a sostenere prezzi redditizi controllando l’offerta», ha affermato Camila Jardim, responsabile brasiliana dell’associazione. La stessa, inoltre, ha detto che in questo modo il Brasile invia «un segnale sbagliato al resto del mondo», soprattutto nell’anno in cui il Paese ospiterà la Conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici del 2025 (Cop 30), a Belém, in Amazzonia. L’esortazione è stata, dunque, quella di cercare «nuove strategie» e di non rivolgere la propria attenzione ai «vecchi schemi» di esplorazione petrolifera.

Tuttavia, proprio l’ingresso di Brasilia nell’OPEC+ mostra come il petrolio resti centrale nelle politiche energetiche globali e nelle dinamiche di potere, nonostante gli sforzi verso la transizione ecologica, cardine delle politiche dei Paesi occidentali e dell’UE, non privo di ripercussioni che soffocano la crescita dei Paesi del cosiddetto Sud globale. L’obiettivo di Brasilia è, dunque, quello di imporsi tra i grandi produttori di petrolio accelerando lo sviluppo economico interno e rivendicandolo come un diritto dinanzi ai Paesi “ricchi”. Già ora il Brasile si colloca tra i primi sette produttori mondiali di petrolio, con l’obiettivo di raggiungere i 5,4 milioni di barili al giorno entro il 2030, arrivando così a collocarsi al quarto posto della classifica globale. Un obiettivo che contrasta con i piani della transizione energetica che pure il Brasile continua a perseguire: insieme all’adesione alla Carta di cooperazione tra i paesi produttori di petrolio (CoC), infatti, il Paese sudamericano ha di recente approvato una risoluzione che riconosce come nell’interesse della politica energetica nazionale la partecipazione del Brasile a tre forum internazionali: l’Agenzia internazionale per l’energia (AIE) e l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA), oltre alla CoC. «Con una forte presenza di fonti rinnovabili nelle matrici elettrica ed energetica, oltre alla leadership nella produzione di biocarburanti, il Brasile rafforza la sua posizione a livello mondiale unendosi a queste organizzazioni. […] La partecipazione a questi forum è inoltre in linea con il Piano Energetico Nazionale 2050, che prevede lo sviluppo sostenibile delle energie rinnovabili parallelamente all’esplorazione delle risorse fossili», si legge in un comunicato del ministero dell’Energia.

La mossa del Brasile appare, dunque, una sorta di compromesso teso a conciliare l’esigenza di sviluppo economico e di rilievo internazionale con il rispetto degli impegni di decarbonizzazione e testimonia implicitamente come le energie rinnovabili non siano riuscite a imporsi sui combustibili fossili nonostante la spinta in tal senso dei Paesi avanzati. Al netto della questione ambientale, l’ingresso del Brasile nel cartello petrolifero può modificare gli equilibri globali dell’energia, rendendo più difficile per i produttori di petrolio non OPEC e per l’Occidente controllare le dinamiche energetiche internazionali, nonostante le notevoli divergenze all’interno del gruppo, composto da Paesi con interessi molto diversi tra loro.

[di Giorgia Audiello]

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