Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, riemerge il progetto dell’oleodotto Keystone XL. Il nuovo presidente USA ha infatti rilanciato sul social network Truth il progetto per la realizzazione dell’opera, ideata nel 2008 per trasportare centinaia di migliaia di barili di petrolio dalle sabbie bituminose del Canada alle raffinerie statunitensi. Fedele alla sua linea di deregolamentazione ambientale e di sostegno all’industria fossile, Trump ha così manifestato l’intenzione di smantellare una delle prime decisioni prese da Joe Biden nel 2021, che aveva bloccato la costruzione dell’oleodotto per motivi ambientali. Se il piano dovesse concretizzarsi, inoltre, si tratterebbe di un attacco diretto alle comunità native, che da decenni conducono una lotta contro il mega progetto che attraverserebbe numerosi territori indigeni.
«La società che costruisce l’oleodotto Keystone XL, brutalmente espulsa dall’incompetente amministrazione Biden, dovrebbe tornare in America e portare a termine il progetto — ADESSO!», ha scritto Trump nel suo post su Truth, rilanciando una battaglia che ha segnato le ultime tre amministrazioni americane. L’oleodotto Keystone XL, un’infrastruttura da 1.950 chilometri, avrebbe dovuto trasportare fino a 830.000 barili di petrolio al giorno. Proposto per la prima volta nel 2008, il progetto era stato approvato dal Canada e sostenuto dall’industria petrolifera, ma ha incontrato l’opposizione di ambientalisti e comunità indigene, preoccupate per l’impatto ecologico e per il rischio di sversamenti. Nel 2015, Barack Obama ne aveva bloccato la costruzione, decisione poi ribaltata da Trump nel 2017. Infine, Biden ha nuovamente interrotto il progetto nel suo primo giorno alla Casa Bianca, con un ordine esecutivo volto a contrastare il cambiamento climatico.
Il ritorno di Trump alla presidenza, come hanno dimostrato le nomine e i primi ordini esecutivi, ha segnato una netta inversione di rotta su tutte le politiche energetiche adottate dalla precedente amministrazione. Non si tratta solo del Keystone XL: il Tycoon ha sin da subito chiarito volere eliminare i sussidi ai veicoli elettrici, alleggerire le normative sulle emissioni, porre fine ai finanziamenti per le energie rinnovabili e, soprattutto, ritirare nuovamente gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi. Il messaggio di Trump è chiaro: gli USA devono puntare sulle loro riserve petrolifere per tornare a essere una «nazione ricca». Trump punta infatti a sfruttare le risorse fossili americane per ridurre la dipendenza energetica da altri paesi, sostenendo che ciò garantirà prezzi più bassi per i cittadini e maggiore sicurezza nazionale. A tale scopo, il Presidente potrebbe ricorrere al Defense Production Act, una legge della Guerra Fredda che permette al governo di dare priorità alla produzione di beni ritenuti essenziali. L’impatto ambientale di questa strategia, tuttavia, preoccupa ambientalisti e scienziati. Il Keystone XL, oltre a facilitare l’estrazione del petrolio dalle sabbie bituminose – una delle fonti fossili più inquinanti – potrebbe aumentare il rischio di fuoriuscite di greggio, compromettendo ecosistemi fragili.
Nel giugno del 2021, gli ambientalisti avevano cantato vittoria dopo che TC Energy – società che era stata chiamata a occuparsi della costruzione dell’oleodotto – aveva dichiarato che non sarebbe andata più avanti con il progetto, osteggiato da un decennio di resistenza da parte di comunità indigene, proprietari terrieri, agricoltori, allevatori e attivisti per il clima. L’opposizione al progetto è già pronta a mobilitarsi, come dimostrano le manifestazioni che negli anni scorsi hanno coinvolto Washington, Ottawa e le aree interessate dall’oleodotto. Oltre alle ovvie implicazioni economiche e geopolitiche, la mossa di Trump potrebbe comportare anche conseguenze dal punto di vista legale, con i giudici federali che potrebbero essere chiamati a stabilire se il ritorno del progetto è compatibile con le leggi ambientali.
[di Stefano Baudino]