giovedì 6 Marzo 2025

Le multinazionali USA si adeguano all’era Trump sospendendo i programmi di inclusione

Negli Stati Uniti, molte aziende, banche e fondi di investimento hanno cambiato le proprie strategie e politiche in merito a questioni cruciali, come quella climatica non appena è cambiata la direzione politica alla Casa Bianca. Ora, qualcosa di simile sta avvenendo anche per ciò che riguarda le politiche di inclusione e la diversità. Alcune delle maggiori aziende statunitensi hanno infatti abbandonato le loro politiche DEI (Diversità, Equità e Inclusione) a seguito dell’ordine esecutivo emanato da Trump nei suoi primi giorni di amministrazione, in cui le definiva contrarie al Civil Rights Act del 1964. Google, Meta, Amazon, McDonald’s, Walmart sono solo alcune delle aziende che hanno esplicitamente rinunciato ai loro programmi DEI, compiendo la giravolta politica.

«Fine della discriminazione illegale e ripristino delle opportunità basate sul merito» era il titolo dell’ordine esecutivo emanato da Trump il 21 gennaio di quest’anno, il giorno successivo al suo insediamento, con cui dichiarava la fine alle politiche DEI messe in atto da numerose aziende ma, soprattutto, dalla stessa amministrazione federale. Il presidente statunitense ha scritto che «leggi federali sui diritti civili di lunga data proteggono i singoli americani dalla discriminazione basata su razza, colore, religione, sesso o origine nazionale. Queste protezioni dei diritti civili servono come fondamento a sostegno delle pari opportunità per tutti gli americani». In altre parole, secondo Trump esistono già le leggi che garantiscono il rispetto delle diversità, quindi imporne di nuove significa andare a ricreare disparità e discriminazione. All’inizio di febbraio, il Dipartimento di Giustizia ha fatto sapere che avrebbe incaricato i pubblici ministeri di penalizzare ed eliminare i mandati «illegali DEI» in tutto il settore privato, specie per quelle aziende che hanno appalti federali, come spiegato anche nell’ordine esecutivo emanato da Trump.

Vi abbiamo già raccontato della processione degli oligarchi delle Big Tech da Trump, come a voler omaggiare e giurare fedeltà al nuovo re. E proprio alcune di queste multinazionali hanno rinunciato in maniera esplicita ai loro programmi interni DEI. Google sta scartando alcuni dei suoi obiettivi di assunzione in base alla diversità e la sua azienda madre, Alphabet, ha già cambiato le proprie linee guida in materia, eliminando dal suo report annuale 10-K, depositato presso la Securities and Exchange Commission, la frase che spiegava come l’azienda fosse «impegnata a rendere la diversità, l’equità e l’inclusione parte di tutto ciò che facciamo e a far crescere una forza lavoro che sia rappresentativa degli utenti che serviamo».

Meta aveva iniziato il processo di riallineamento quando Trump non si era ancora insediato alla Casa Bianca. Già nella prima metà di gennaio Mark Zuckerberg aveva annunciato la fine dei programmi di fact-checking nelle sue piattaforme social, così come la fine delle politiche DEI all’interno delle proprie aziende, come riportato da Axios.

Stessa cosa è accaduta dentro Amazon di Jeffrey Bezos, così come nelle stesse produzioni cinematografiche degli Amazon Studios. «Abbiamo detto fin dall’inizio che i nostri sforzi per garantire una narrazione diversificata e inclusiva sarebbero stati fluidi e sarebbero cambiati nel tempo», ha detto un portavoce di Amazon Studios a The Hollywood Reporter. Per gli oligarchi, insomma, non c’è ideologia che tenga, tutto è in funzione dell’unica cosa che conta: il profitto.

Anche McDonald’s, già ad inizio anno, ha deciso di abbandonare i programmi DEI. Nonostante nel suo comunicato rivendichi il raggiungimento di importanti obiettivi per quanto concerne l’inclusione, l’azienda spiega come e perché i suoi programmi subiranno cambiamenti. Tra le varie cose, McDonald’s ha sospeso la sua partecipazione a un sondaggio annuale della Human Rights Campaign che misura l’inclusione sul posto di lavoro per i dipendenti LGBTQ+ e ha dato vita al Global Inclusion Team, il quale rispecchierebbe al meglio il mutamento politico ai massimi vertici del governo federale.

Walmart, il più grande rivenditore del mondo, addirittura già alla fine di novembre scorso, aveva annunciato la sua intenzione di annullare le sue politiche di diversità, equità e inclusione. Adesso il colosso statunitense sta anche rischiando cause milionarie da parte degli azionisti che si sono sentiti danneggiati e fuorviati rispetto alla decisione di terminare bruscamente le politiche DEI. Recentemente è addirittura iniziata una campagna di boicottaggio contro Walmart, il cui inizio è fissato per il 28 febbraio. Questi movimenti oscillatori da parte dell’azienda, così come di tutte le altre, hanno infatti indispettito (e non poco i consumatori), da una parte e dall’altra, i quali si sono sentiti presi in giro. Ancora una volta, la dimostrazione di come queste politiche fossero del tutto strumentali al fine supremo: l’accumulazione di capitale.

Insomma, è del tutto evidente come alle grandi aziende non importi niente dei diritti civili, così come dell’ambiente, o di qualsiasi altra cosa che non sia l’aumentare del proprio profitto, il quale permette di accrescere il proprio potere che a sua volta porta altro profitto e altro potere, nel girare della ruota infernale dell’estrazione della ricchezza e dell’accumulazione del capitale.

[di Michele Manfrin]

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