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La Groenlandia alle urne sceglie l’indipendenza graduale del centrodestra

Con il 99% dei voti scrutinati, il partito dei Democratici (Demokraatit) ha vinto le elezioni in Groenlandia, ottenendo oltre il 30% dei suffragi e triplicando ampiamente i suoi consensi rispetto al 2021, quando ottenne solo il 9% dei voti. I democratici, guidati da Jens Frederik Nielsen, già ministro dell’Industria e delle Materie Prime tra il 2020 e il 2021, hanno ottenuto 10 seggi su 31 nel Parlamento di Nuuk e sostengono un’indipendenza graduale dal Regno di Danimarca, di cui la Groenlandia fa parte, pur avendo ampie autonomie di governo dal 1979. Si tratta di un risultato elettorale inaspettato che ribalta lo scenario politico dell’isola di 57 mila abitanti, proprio alla luce della questione dell’indipendenza, tornata al centro della discussione, dopo le dichiarate mire imperialistiche di Donald Trump:  «Certamente per noi è una sorpresa, siamo felici e sento che le nostre parole hanno aiutato la gente, ma non ci aspettavamo che le elezioni cambiassero così tanto», ha detto [1] Nielsen in un’intervista a KNR TV, aggiungendo che «Il Paese ha bisogno che ci uniamo in un momento di interessi stranieri. Dobbiamo essere uniti, quindi negozieremo con tutti».

Il partito vincitore è sostenitore di un’indipendenza graduale, risultando più cauto rispetto ai suoi avversari politici, anche per proteggersi dalle mire di Trump, e proprio questo approccio gli ha permesso di prevalere sulle altre formazioni, tra cui quelle appartenenti alla coalizione uscente, che hanno registrato un netto crollo: la sinistra di Inuit Ataqatigiit del premier uscente Mute Egede, è scesa dal 36 al 21,62%, e i socialdemocratici di Siumut, sono in calo dal 30 a poco meno del 15%.  Il secondo partito più votato, invece, è stato il partito populista Naleraq, che ha ottenuto il 25% dei consensi, in decisa crescita rispetto ai soli 12% dei voti registrati nel 2021. Il capo del partito social-liberale vincitore alle urne, Nielsen, è schierato su posizioni apertamente anti Trumpiane, nazionaliste e identitarie. Prima delle elezioni, infatti, ha affermato che i progetti espansionistici del presidente statunitense sono «una minaccia alla nostra indipendenza politica», aggiungendo [2] che «Non vogliamo essere americani. No, non vogliamo essere danesi. Vogliamo essere groenlandesi. E vogliamo la nostra indipendenza in futuro. E vogliamo costruire il nostro paese da soli, non con la sua speranza». La gradualità dell’indipendenza dalla Danimarca è vista anche in funzione di difesa rispetto alle ingerenze statunitensi: «Perché Trump sostiene l’indipendenza? Perché può rivolgersi direttamente a noi, evitando la Danimarca, e spera che così saremo facili da influenzare» ha spiegato al quotidiano Sermisiaq.

La Groenlandia, solitamente poco attenzionata dai media, ha conquistato la scena negli ultimi mesi soprattutto per la centralità geopolitica che ha assunto negli ultimi anni la regione artica, al centro delle ambizioni commerciali e strategiche di Russia, USA e Cina, e per la sua ricchezza dei giacimenti di uranio e metalli rari, ragioni che spingono gli USA di Donald Trump ad annettere l’isola, contro la volontà dei suoi abitanti. Secondo [3] l’Economist, dei 50 materiali che il Dipartimento di Stato statunitense considera critici, la Groenlandia ne possiede circa 43. Nel sottosuolo dell’isola ci sono, fra gli altri, il molibdeno, un metallo che fuso in piccole dosi con l’acciaio ne migliora diverse qualità, e il terbio, essenziale per produrre magneti utilizzabili nel settore della difesa.

Con le ultime elezioni, i groenlandesi hanno manifestato la volontà di mantenere la loro autonomia sia da Washington che da Copenaghen, adottando un approccio moderato verso l’indipendenza e continuando quindi a restare una Nazione con piena sovranità all’interno del Regno di Danimarca, da cui Nuuk riceve ogni anno 580 milioni di euro, corrispondenti a circa metà delle entrate di bilancio.

[di Giorgia Audiello]