La Commissione Europea ha presentato il nuovo piano per favorire il rimpatrio dei migranti irregolari, aprendo alla possibilità di trasferirli in Paesi terzi. Definite «return hub», le strutture esterne all’UE ospiterebbero i migranti per cui è già in vigore un decreto di espulsione, senza necessariamente rispettare l’obbligo di consenso sancito dall’attuale regolamento. Il piano dell’UE prevede inoltre l’istituzione di una sorta di ordine di espulsione comune, che permetterebbe agli Stati membri di allontanare migranti già respinti da un altro Paese comunitario. In generale, la nuova proposta prevede una deregolamentazione delle procedure e un inasprimento delle politiche migratorie comunitarie, muovendosi in direzione di una progressiva esternalizzazione delle frontiere. Il piano deve ora essere discusso e approvato da Parlamento Europeo e Consiglio dell’Unione Europea.
La nuova proposta della Commissione è stata presentata ieri, martedì 11 marzo, dalla vicepresidente della Commissione Europea Henna Virkkunen. Il piano [1] prevede una semplificazione delle norme per il rimpatrio dei migranti da accompagnare a un generale inasprimento delle condizioni di espulsione, che vengono definite in maniera molto più netta. L’obiettivo sembra essere quello di fornire un quadro legale ai vari Paesi per aprire la strada all’introduzione di nuove procedure definite solo nei termini generali. Le misure più importanti che introdurrebbe sono due: il trasferimento dei migranti in Paesi terzi e la possibilità di riconoscere l’ordine di espulsione di uno Stato membro. Questa seconda misura non sarebbe obbligatoria, ma permetterebbe ai Paesi di ordinare l’espulsione di un migrante senza passare dalle procedure interne. Se per esempio una persona soggetta a ordine di espulsione in Italia dovesse spostarsi in Francia, quest’ultima potrebbe emanare un ordine senza dovere ripetere le verifiche.
Il trasferimento in Paesi terzi, invece, è definito in maniera molto vaga e nella sostanza permette agli Stati membri di siglare accordi bilaterali per esternalizzare le frontiere, rispettando una serie di condizioni basilari. «Un tale accordo o intesa», si legge, «può essere concluso solo con un Paese terzo in cui siano rispettati gli standard e i principi internazionali sui diritti umani in conformità al diritto internazionale, incluso il principio di non respingimento». Oltre a ciò l’accordo con un Paese terzo deve istituire un organismo di controllo che monitori «l’applicazione effettiva dell’accordo o dell’intesa», e può essere siglato solo dopo avere avvisato le istituzioni comunitarie. La struttura, infine, non può ospitare minori e famiglie con minori. Il resto delle regole viene lasciato in mano allo Stato membro: non viene per esempio stabilito alcun criterio minimo riguardo al limite di persone che possono venire ospitate, ai servizi da garantire ai migranti, o al personale specializzato che dovrebbe operare nelle strutture. Il trasferimento in Paesi terzi diversi da quelli di origine dei migranti, inoltre, non prevede più l’obbligo di consenso sancito dagli attuali regolamenti [2]. Saranno insomma i singoli Stati a decidere dove spedire i migranti.
Il piano della commissione prevede anche l’introduzione di norme alternative alla detenzione più severe per i migranti irregolari, tra cui figurano l’obbligo di presentarsi regolarmente alle autorità competenti, l’obbligo di consegnare i documenti di identità o di viaggio, l’obbligo di risiedere in un luogo designato dalle autorità, il deposito di «un’adeguata garanzia finanziaria», e l’assoggettamento al monitoraggio elettronico. In generale, la nuova proposta della Commissione viaggia in parallelo al patto sui migranti [3] approvato lo scorso aprile, confermando l’impostazione securitaria e accelerando l’imposizione del modello di esternalizzazione delle frontiere.
[di Dario Lucisano]