Proseguono senza sosta le violazioni da parte di Israele del cessate il fuoco a Gaza: nelle ultime ore, infatti, almeno tre palestinesi sono stati uccisi e altri tre feriti dopo raid aerei israeliani condotti nelle zone del centro e del sud della Striscia, secondo quanto riportato da giornalisti presenti sul posto. Gli attacchi seguono quelli dei giorni scorsi e, in particolare, il massacro portato a termine a Beit Lahia, nel nord della Striscia, nel quale sono rimasti uccisi tre giornalisti e una squadra di operatori umanitari. Quest’ultimo costituisce il raid più mortale dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, lo scorso 15 gennaio. Nel frattempo, i colloqui per passare alla fase due del cessate il fuoco sembrano in stallo: dopo aver mostrato apertura per la liberazione dell’ostaggio israelo-statunitense, Hamas ha infatti chiesto il rispetto degli accordi inizialmente concordati tra le parti, che prevedrebbero il ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia e l’implementazione di una tregua permanente. Israele e Stati Uniti hanno definito «inaccettabili» le condizioni poste da Hamas.
Corrispondenti di Al Jazeera a Rafah hanno denunciato questa mattina il bombardamento, da parte di un drone israeliano, di Al-Janina, città a est di Rafah. Poco prima, l’agenzia di stampa Wafa ha riportato il bombardamento di un raduno di civili a Wadi Gaza. Gli attacchi, che costituiscono violazioni del cessate il fuoco in corso, avvengono nel pieno del mese sacro del Ramadan. Secondo quanto riferito da un giornalista di Al Jazeera, aggressioni come queste avvengono in maniera frequente nella Striscia di Gaza, dal nord dell’enclave fino a Rafah. Il Centro per la Protezione dei Giornalisti Palestinesi (PJPC) ha dichiarato che i giornalisti uccisi a Beit Lahia sabato 15 marzo stavano documentando i lavori di soccorso umanitario a favore delle persone colpite dagli attacchi israeliani. «Prendere di mira i giornalisti ostacola il flusso di informazioni» e costituisce un «crimine di guerra» scrive l’organizzazione, che invita la comunità internazionale a prendere provvedimenti contro questo tipo di violazioni. Nel mirino di Israele è finita ieri anche la giornalista Latifa Abdel Latif, arrestata ieri a Gerusalemme.
Il massacro di Beit Lahia è stato condannato con forza da Hamas, che ha commentato come questo, insieme alle «uccisioni indiscriminate» e ai «barbari attacchi in corso nella Striscia di Gaza», sancisca «la determinazione dell’occupazione a minare l’accordo di cessate il fuoco e sabotare intenzionalmente ogni opportunità di attuare pienamente l’accordo e finalizzare lo scambio di prigionieri», chiamando anche le Nazioni Unite e la comunità internazionale ad assumersi le responsabilità politiche di quanto sta accadendo. Le forze armate israeliane (IDF) hanno giustificato le uccisioni di Beit Lahia dichiarando che i giornalisti erano in realtà «terroristi che operavano sotto copertura» in possesso di un drone «destinato a compiere attacchi terroristici contro le truppe dell’IDF che operavano a Gaza».
In questo contesto, i dialoghi sul cessate il fuoco faticano a fare progressi. Mentre infatti Hamas starebbe chiedendo il rispetto dei termini dell’accordo stipulato lo scorso 15 gennaio (mediato dall’amministrazione uscente di Joe Biden) e il passaggio alla seconda fase, Israele, con il supporto degli Stati Uniti, sembra voler forzare il movimento palestinese a proseguire con lo scambio di prigionieri senza mettere in atto la fase II, che prevedrebbe la fine totale delle ostilità e il ritiro israeliano dalla Striscia. In particolare, Israele starebbe cercando di far accettare ad Hamas una proposta presentata dall’inviato speciale degli Stati Uniti Steve Witkoff, che prevedrebbe il rilascio di 11 prigionieri ed estenderebbe la fase I dell’accordo di cessate il fuoco fino a metà aprile, per negoziare successivamente le fasi di un cessate il fuoco permanente. Tuttavia, tale proposta sarebbe stata rifiutata da Hamas, che avrebbe definito il blocco messo in atto da Tel Aviv un «ricatto» finalizzato ad esercitare pressione sul gruppo. Israele ha infatti imposto, a partire dallo scorso 2 marzo, il blocco degli aiuti umanitari. A questo si aggiunge il taglio dell’elettricità disposto dal ministro dell’Energia e delle Infrastrutture Eli Cohen lo scorso 9 marzo, il quale ha causato l’interruzione del funzionamento di un impianto di desalinizzazione di cruciale importanza per la potabilizzazione dell’acqua. In questo contesto, secondo l’UNICEF, è messa a rischio la sopravvivenza di almeno un milione di bambini, oltre che del resto della popolazione. E la possibilità di vedere la fine del massacro si allontana sempre più.
[di Valeria Casolaro]