Un’altra strage di civili palestinesi si è verificata ieri a Gaza, dopo che Israele ha violato il cessate il fuoco martedì scorso riprendendo i bombardamenti e le operazioni via terra: nella sola giornata di ieri 91 palestinesi sono stati uccisi e decine sono rimasti feriti negli attacchi avvenuti in tutta la Striscia. Le Forze di difesa israeliane (IDF) hanno annunciato di aver avviato operazioni di terra nel distretto di Shaboura, nella città più a sud di Gaza, Rafah, al confine con l’Egitto. Allo stesso tempo, l’esercito dello Stato ebraico ha reso noto di aver dato il via a operazioni di terra anche nel nord dell’enclave, lungo la strada costiera di Beit Lahiya. La ripresa della campagna militare nell’enclave palestinese ha avuto il «sostegno totale» del presidente statunitense Donald Trump: la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha dichiarato che «Il presidente ha reso molto chiaro ad Hamas che, se non avessero rilasciato tutti gli ostaggi, ci sarebbero state conseguenze gravi. E purtroppo, Hamas ha scelto di giocare con i media a spese di vite umane». Inoltre, la Casa Bianca ha fatto sapere che Israele ha consultato gli Stati Uniti prima di riprendere gli attacchi. Da parte sua, il gruppo di resistenza palestinese Hamas ha ribadito il suo impegno nei confronti dell’accordo e ha invitato i mediatori ad «assumersi le proprie responsabilità».
Secondo le autorità mediche locali, circa 600 palestinesi sono stati uccisi dalla ripresa dei bombardamenti martedì, di cui più di 200 sono bambini. Il bilancio delle vittime è destinato a salire, considerato l’intensificarsi degli attacchi aerei e terrestri da parte di Israele. Nel frattempo, cresce il malcontento dell’opinione pubblica israeliana: da martedì, infatti, decine di migliaia di persone hanno manifestato contro il governo di Netanyahu e la ripresa delle stragi. I disordini interni non hanno comunque impedito al governo israeliano di riprendere i bombardamenti e di lanciare volantini sui quartieri residenziali intimando alla popolazione di abbandonare le città di Beit Lahiya e Beit Hanoun nel nord, il distretto di Shejaia nella città di Gaza e le città nella periferia orientale di Khan Younis nel sud. «Gli attacchi israeliani nella Striscia di Gaza si sono intensificati, soprattutto all’alba, quando almeno 11 edifici residenziali sono stati rasi al suolo dalle forze israeliane», ha affermato l’inviato dell’emittente araba Al Jazeera, Tareq Abu Azzoum, in un servizio dal centro di Gaza. Come risposta, Hamas, che nelle prime 48 ore di ripresa delle ostilità da parte di Tel Aviv non aveva reagito, ha lanciato razzi verso Israele, affermando che l’operazione di terra israeliana e l’incursione nel corridoio di Netzarim sono state una «nuova e pericolosa violazione» dell’accordo di cessate il fuoco.
Tra gli obiettivi delle forze israeliane c’è quello di espandere la zona cuscinetto che separa la parte settentrionale da quella meridionale della Striscia, nota come corridoio di Netzarim, confermando così implicitamente di non volere ritirare le truppe dall’enclave come prevedrebbe la fase due dell’accordo stipulato a gennaio sotto l’amministrazione Biden. È proprio la mancata volontà di passare alla fase due della tregua che ha indotto Hamas a non rilasciare gli ostaggi israeliani: sin dagli inizi di marzo, infatti, il governo israeliano ha bloccato l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza, violando sia il diritto internazionale umanitario che gli accordi di cessate il fuoco stipulati con il gruppo di resistenza palestinese, con l’intento di forzare Hamas a rilasciare gli ostaggi, senza attuare la fase due dell’accordo. Quest’ultima prevede il ritiro delle truppe israeliane da Gaza, lo scambio degli ultimi ostaggi israeliani con prigionieri palestinesi e la negoziazione definitiva della fine della guerra. Tuttavia, Tel Aviv, con l’appoggio del governo statunitense, non solo non sta ritirando le sue truppe, proponendo solo una proroga temporanea della tregua, ma ha anche minacciato di occupare il territorio palestinese. Oggi, infatti, il ministro della Difesa Israel Katz ha dichiarato che «Se gli ostaggi non verranno rilasciati, Israele continuerà a prendere sempre più territorio nella Striscia per un controllo permanente».
La ripresa della campagna militare a Gaza ha scatenato ampie proteste in Israele: da martedì decine di migliaia di persone hanno manifestato contro il governo di Netanyahu a Tel Aviv e a Gerusalemme e la polizia ieri sera ha cercato di sedare le rivolte sparando con gli idranti ed effettuando numerosi arresti. I manifestanti hanno accusato il governo di continuare la guerra per motivi politici e di mettere in pericolo la vita degli ostaggi ancora detenuti a Gaza. Nonostante ciò, il governo israeliano è determinato a proseguire la pulizia etnica del popolo palestinese e minaccia di appropriarsi dei suoi territori. Come riferisce Al-Jazeera, secondo Andreas Krieg, professore associato di studi sulla sicurezza al King’s College di Londra, l’obiettivo dello Stato ebraico è «impadronirsi del territorio e potenzialmente non restituirlo mai più. Vuole rinchiudere la gente di Gaza in spazi ristretti e poi trasferirsi lì». Il tutto sta avvenendo con l’approvazione degli Stati Uniti e, indirettamente, dell’Unione Europea che ieri al Consiglio Europeo non ha condannato gli attacchi israeliani e la violazione del cessate il fuoco da parte di Tel Aviv.
[di Giorgia Audiello]
Pensiero personale: gli Stai Uniti sono il cancro del mondo