venerdì 21 Marzo 2025

Uno studio rivela che le microplastiche hanno raggiunto anche l’Antartide

Nonostante l’enorme distanza da grandi centri urbani, le severe normative sui materiali che vengono trasportati in zona e i numerosi allarmi lanciati negli ultimi anni sui potenziali effetti avversi per l’uomo e per l’ecosistema, le microplastiche hanno raggiunto anche la neve dell’Antartide. Lo rivela uno studio guidato da scienziati del British Antarctic Survey (BAS), sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Science of the Total Environment. Secondo la ricerca, condotta grazie a una tecnica di rilevamento basata sulla spettroscopia infrarossa, i campioni di neve analizzati presentano plastiche di dimensioni inferiori ai 50 micrometri, con densità comprese tra 73 e 3.099 particelle per litro. I coautori hanno dichiarato che, sebbene il problema sia ben noto, questa sarebbe la prima volta in assoluto che vengono rilevate concentrazioni così alte in aree così remote, il che «evidenzia la cruda realtà che anche gli angoli più incontaminati del pianeta non sono esenti dall’impatto umano».

L’inquinamento da microplastiche è una delle emergenze ambientali più preoccupanti degli ultimi decenni. Composte da polimeri sintetici di varia natura, queste particelle si disperdono nell’ambiente attraverso processi industriali, rifiuti plastici e persino il deterioramento di abbigliamento tecnico. Finora, le microplastiche erano state rinvenute in quasi tutti gli ecosistemi terrestri e marini, dai fondali oceanici alla troposfera. L’Antartide, protetta da rigide normative ambientali che limitano l’introduzione di materiali plastici, era considerata una delle ultime aree incontaminate. Anche se alcuni studi avevano già segnalato la presenza di microplastiche nell’acqua e nei sedimenti marini antartici – suggerendo che le correnti oceaniche e i venti potessero trasportare questi inquinanti anche in luoghi remoti – il nuovo studio è il primo a dimostrare la diffusione delle microplastiche a concentrazioni elevatissime anche nella neve. Questo solleva interrogativi sul loro impatto sul clima e sulla fauna locale.

I ricercatori hanno utilizzato una metodologia innovativa per rilevare particelle di plastica di dimensioni estremamente ridotte: anziché affidarsi alla selezione manuale, il team ha filtrato la neve sciolta e analizzato i residui con spettroscopia infrarossa, identificando polimeri come poliammide, polietilene tereftalato, polietilene e gomma sintetica. La poliammide, utilizzata in tessuti tecnici e corde, è risultata particolarmente abbondante nei campioni raccolti nei pressi dei campi di lavoro, mentre era assente nei siti più remoti, suggerendo una possibile contaminazione locale. Analizzando campioni di neve prelevati da Union Glacier, Schanz Glacier e dal Polo Sud sono state rilevate particelle piccole fino a 11 micrometri (circa le dimensioni di un globulo rosso) e in concentrazioni fino a 100 volte superiori rispetto a studi precedenti. «Riteniamo che ciò significhi che ci siano fonti locali di inquinamento da plastica, almeno per quanto riguarda la poliammide. Ciò potrebbe derivare dagli indumenti da esterno o dalle corde e dalle bandiere utilizzate per contrassegnare percorsi sicuri dentro e intorno al campo», ha commentato la dottoressa Clara Manno, ecologa oceanica presso il British Antarctic Survey, la quale ha aggiunto che le implicazioni delle microplastiche in questa «selvaggia natura ghiacciata» non sono ancora del tutto comprese.

«Nonostante le severe normative sui materiali che entrano in Antartide, le nostre scoperte rivelano contaminazione da microplastiche anche in aree remote e altamente controllate. Ciò sottolinea la natura pervasiva dell’inquinamento da plastica, dimostrando che nessun luogo sulla Terra è veramente incontaminato. La nostra ricerca evidenzia la necessità di sfruttare la presenza antartica esistente per un monitoraggio continuo. Mentre il mondo cerca di assumersi le proprie responsabilità attraverso il Trattato globale sulla plastica dell’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente, valutazioni regolari in tali ambienti incontaminati potrebbero fornire prove fondamentali per politiche e azioni», ha aggiunto la dottoressa e coautrice Kirstie Jones-Williams, concludendo che gli esperimenti evidenziano la «cruda realtà» che anche gli angoli più incontaminati del pianeta non sono esenti dall’impatto umano, a conferma della necessità di ulteriori studi a riguardo.

[di Roberto Demaio]

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