Ciò che è accaduto in Italia il 15 marzo durante la manifestazione «Una piazza per l’Europa» ha dell’incredibile. E non per le posizioni e le idee che sono state portate avanti e difese in questa piazza che ha raccolto e riunito la gente più disparata, all’insegna del caos e della confusione. Ma per il modo in cui è stato fatto. Questa manifestazione passerà alla storia come una delle più grandi mistificazioni del XXI secolo. Ma procediamo con ordine. Non appena Ursula Von Der Leyen lancia il suo piano da ottocento miliardi di euro per riarmare l’Europa, piano che è stato approvato dal parlamento europeo, il giornalista Michele Serra lancia un appello dalle pagine di Repubblica. E chiede alla gente di scendere in piazza e manifestare in favore dell’Europa. Non l’Europa del riarmo, precisa, ma un’Europa che unisca genti, partiti e persone che hanno idee e posizioni diverse, ma che condividono l’amore per la pace, la democrazia, la civiltà occidentale che l’Unione Europea incarna e protegge.
Valori e idee giuste, almeno sulla carta, e che hanno attratto un numero discreto di persone convinte di difendere la pace, la democrazia e la giustizia. E che invece si sono ritrovate in una piazza che ha messo in campo, attraverso i suoi oratori di rilievo, una vera e propria propaganda bellicista. Meritano di essere analizzati tutti gli espedienti retorici, le manipolazioni verbali e i trucchi linguistici adoperati e messi in scena, iniziando proprio dal discorso di Michele Serra, l’organizzatore e il promotore di quest’evento.
Mentre celebra l’Europa che accoglie i migranti che scappano da fame, guerra e miseria, senza mai domandarsi come e perché il resto del mondo sia un cimitero di fame, carestia e miseria, e che ruolo abbia avuto in tutto ciò la nostra bella Europa, Serra lancia la sua frecciata «a noi europei, viziati da 80 anni di pace».
Ecco allora che la pace diventa un vizio. Una debolezza. La pace ci ha viziati, ci ha reso deboli, inermi e imbelli. La pace ingiusta, sarà questo il leitmotiv della manifestazione, è una colpa. Gli fa subito eco Gianrico Carofiglio, autore, ironia della sorte, di un saggio La manomissione delle parole, e che le parole le manomette, le plasma, le piega per portare acqua al mulino del riarmo. Non a caso Carofiglio cita e riprende il celebre discorso di Winston Churchill alla Camera dei Comuni il 4 giugno 1940. Siamo nel pieno della seconda guerra mondiale e non è casuale la scelta di rievocare, attraverso il discorso di Churchill, lo spettro della minaccia nazista, dopo aver tanto faticosamente cercato di accostare la figura di Putin a quella di Hitler. Accostamento che sposta e alza l’asticella del conflitto contro la Russia da guerra contro l’espansionismo di un paese nemico a scontro ideologico, morale, assoluto. Ed eccolo qui il discorso di Carofiglio che riprende Churchill: «Noi combatteremo in tutti i posti. Combatteremo con le armi micidiali dell’intelligenza, dell’umanità e della pace. Combatteremo. Combatteremo senza arrenderci mai».
L’intelligenza, l’umanità e la pace diventano «armi», armi da impugnare, imbracciare e sollevare. Perfino la parola pace che dovrebbe essere sinonimo di unione, di pacificazione, di comunione viene unita alla parola «armi», per giustificare, normalizzare e assegnare una valenza positiva a una parola che di buono e di positivo non avrebbe nulla. Accostare la parola armi a parole come intelligenza, umanità e pace è una manipolazione linguistica e retorica non dissimile dall’uso di ossimori come «missili intelligenti» o «guerra giusta». Ma nel discorso di Carofiglio è quel «combattiamo» ripetuto più e più volte, che risuona come un leitmotiv, come un ritornello, a dominare e a imprimersi nella mente dell’ascoltatore.
«Dobbiamo distinguere tra pace e pacifisti», specifica e puntualizza Roberto Vecchioni, anche lui sceso in piazza e chiamato per dare lustro e sostegno a questa Nuova Europa. «Non si può accettare qualsiasi pace. I veri pacifisti siamo noi». E poi, dato che dall’alto dei suoi ottant’anni non può più contribuire alla causa, si rivolge direttamente ai giovani, a coloro che a dispetto di tutti i Serra e i Galimberti, gli Augias e i Vecchioni saranno chiamati a dare il loro contributo di carne e sangue per difendere la democrazia d’Europa. «Ai giovani dico, siete voi che dovete rimediare alle cazzate che abbiamo fatto noi».
Ma come persuadere i giovani a immolarsi, i soldati a sacrificarsi, come giustificare agli occhi della gente 800 miliardi di debito in favore del riarmo? A tal proposito ci ha pensato Fabrizio Bentivoglio, attore e regista, che ha letto e recitato sul palco il discorso di Pericle al popolo ateniese. Un discorso che sembra parlare di libertà, felicità e giustizia e celebrare la democrazia. «Qui ad Atene noi facciamo così… Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi. (…) Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore».
Ciò che è stato sottaciuto è il contesto in cui venne pronunciato tale piccolo capolavoro di retorica. Pericle pronunciò questo discorso come elogio funebre dei caduti durante la guerra del Peloponneso. Questo discorso era parte del «funerale pubblico» per i caduti di guerra. E questo discorso che hanno voluto citare, non si capisce bene il perché, se per ignoranza, stupidità o malafede, è di cattivissimo auspicio. Perché Atene uscì distrutta da questa guerra. Annientata. La guerra del Peloponneso cambiò radicalmente il volto dell’Antica Grecia. Questo gigantesco conflitto che causò perdite devastanti dal punto di vista umano ed economico, segnò letteralmente la «fine del secolo d’oro della civiltà ellenica».
Merita una riflessione la frase: «qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia». Parole pronunciate in una città, l’Atene di Pericle, che era un’oligarchia. Altro che democrazia, non come la intendiamo o dovremmo intenderla oggi. Non è questa l’Atene che si dovrebbe prendere e invocare a modello. Vedere la folla applaudire al modello di «civiltà» incarnata dall’Atene di Pericle è stato sconcertante.
Nessuno qui vuole negare che la Grecia classica sia stata la culla della cultura occidentale. L’arte, la filosofia, il teatro hanno un debito fortissimo nei confronti dell’Antica Grecia. Ma per quanto riguarda la politica estera il mondo greco non aveva nulla di ideale, come del resto nessun altra civiltà del mondo antico. Conquistare, sottomettere, espandere la propria egemonia su altre terre, erano i valori che dominavano il mondo antico e facevano «grande» una città, una polis, un impero. Questa era in sostanza l’Atene di Pericle. E Pericle stesso era sì un grande oratore, ma era un uomo, figlio del suo tempo e di una mentalità, che l’Europa dovrebbe ripudiare.
Europa che oltre a promuovere il riarmo e la belligeranza, sempre in nome della sicurezza e della difesa ben inteso, come del resto ha fatto ogni singolo paese o impero che ha attaccato e dichiarato guerra per «proteggersi» e difendersi dagli invasori, dai nemici della patria, da chiunque minacciasse i propri interessi nazionali… comunque questa Europa, per la quale la gente è scesa in piazza, è anche tornata ad essere l’Europa della superiorità morale, civile e intellettuale indiscussa.

Ci ha pensato Roberto Vecchioni con un altro discorso teso a sottolineare la superiorità culturale europea rispetto alla barbarie del mondo non occidentale. «Adesso chiudete gli occhi per un momento,» dice alla folla, «e pensate ai nomi che vi dico: Socrate, Spinoza, Cartesio, Hegel, Marx, Shakespeare, Cervantes, Pirandello, Manzoni, Leopardi. Ma gli altri le hanno queste cose?»
Questa bella carrellata di grandi filosofi e pensatori del mondo occidentale si chiude con l’emblematica domanda: gli altri le hanno queste cose? E chi sarebbero gli altri? Chi sono nella fattispecie? I barbari naturalmente, gli incivili, i non europei, quei popoli che non conoscono né cultura né umanità né democrazia.
E allora, per rispondere a Vecchioni, io vi dico Dostoevskij, Puskin, Tolstoj e Gogol… Vi dico Gibran, Mishima, Allende, Tagore. Vi dico che la cultura non ha nazionalità, confini, limiti o barriere. Vi dico che i miei migliori amici sono stati russi, cinesi, giapponesi, americani, coreani. Non amo particolarmente gli USA, ma la mia adolescenza non sarebbe stata la stessa senza Hemingway. E allora vi dico Steinbeck, Faulkner, Edgar Allan Poe e ci metto anche Philip Roth!
Vi dico che l’arte non divide ma unisce, non separa ma avvicina, non si scontra ma «incontra». Perché la cultura non è una gara, non è primato, podio o conquista. Le emozioni non hanno bisogno di salire su un podio, non fanno distinzioni tra «noi» e «loro». Non c’è verità che un cuore, da qui all’altro capo del mondo, non senta. E infine vi dico un’ultima cosa: vi dico che ho trovato imbarazzante tutto questo! Perché il discorso di Vecchioni ci ha fatto tornare indietro di due secoli. Nell’Europa del Colonialismo, del «noi», i migliori, i più perfetti, gli unici detentori di bellezza, verità, e cultura, e gli «altri». E strumentalizzare la letteratura per far passare questo messaggio, significa non averne capito nulla, perché i libri, come le canzoni, sono sempre stati ponti e finestre e non muri.
Ma niente di tutto questo è avvenuto in questa piazza in favore dell’Europa, che anziché rivendicare la costruzione di un’Europa libera, pacifica, orgogliosa delle proprie radici ma anche aperta all’Altro, ha soltanto riattizzato la fiamma dei vecchi nazionalismi, riportato in auge violenti suprematismi e militarizzato la cultura. E gabbato coloro che credendo di aderire a una manifestazione per la pace e che sventolavano inutilmente la bandiera della pace, hanno assistito e sono stati testimoni e vittima di una becera e non tanto sottile propaganda di guerra.
[di Guendalina Middei, in arte Professor X]
80 anni di pace, …ma non di valori purtroppo…anzi il loro opposto: rimbecillimento televisivo prima, seguito da effimera cultura dell’ego sui social. Risultato, masse concentrate sulla vacuità esteriore, ignoranti di qualsiasi argomento che possa riguardare il vero senso della vita su questa magnifica terra, che devastiamo a piacimento. Altro che filosofi, poeti e pensatoripensatori… Ce l’hanno fatta a creare lo “homo telecomandatus”, anche senza 5 o 6G.
“Socrate,Pirandello,Manzoni Leopoardi”. Ma gli altri le hanno queste cose? L’Occidente però è anche quello dello sterminio degli eberei e del genocidio dei nativi americani, l’Europa il posto da dove sono partite le due guerre mondiali e da dove è partito a far guerra agli altri Napoleone. I nativi americani non avevano la nostra cultura ma vivevano IN PACE con la natura e con gli altri,i CINESI hanno una cultura millenaria. NON mi sento superiore, io credo profondamente nel RISPETTO di qualunque altra cultura presente su questo pianeta, e solamente col rispetto degli altri può continuare a esserci LA PACE!!
Bellissimo articolo, l’ho apprezzato molto.
Un po’ prima che tu scrivessi questo splendido articolo, carissima Prof. X, avevo pensato esattamente le stesse cose. Più che sorpreso ero allibito davanti a una situazione come questa piazza per l’Europa. È bello sentirsi in compagnia. Grazie.
L’Unione Europea: “Triste y solitario final”
Il problema non si pone nemmeno sono tutti solo cretini Dinosauri in estinzione.
Come tutti i cretini non riescono tenere a mente molte variabili e poiché gli uomini liberi sono le variabili in qualunque equazione, provano sempre ad ucciderli per rendere le cose a misura della loro stupidità.
Domani ormai, l’intelligenza artificiale prima e subito dopo suprema uomo/computer/quantum non avrà più bisogno di diminuire le variabili da nessun calcolo, potrà maneggiarne trilioni di trilioni e quelli che cercheranno di ridurre le variabili con le guerre, saranno gli unici ad essere eliminati perché non vorremo annoiarci.