martedì 25 Marzo 2025

Tre attivisti dell’associazione Luca Coscioni saranno processati per aiuto al suicidio

Tre attivisti dell’Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, Felicetta Maltese e Chiara Lalli, saranno processati per aiuto al suicidio. L’accusa riguarda l’assistenza fornita nel 2022 a Massimiliano Scalas, un uomo di 44 anni affetto da sclerosi multipla, accompagnato dai tre attivisti in una clinica in Svizzera per accedere al suicidio assistito. La gip di Firenze, Agnese Di Girolamo, ha infatti respinto la richiesta di archiviazione presentata sul caso dalla Procura e ha disposto l’imputazione coatta, affermando che Scalas non sarebbe stato mantenuto in vita da «trattamenti di sostegno vitale», uno dei quattro criteri richiesti dalla giurisprudenza italiana per considerare non punibile l’aiuto al suicidio. Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, ha rivendicato l’azione come un atto di disobbedienza civile, dichiarando di essere pronto ad assumersi le proprie responsabilità per denunciare l’inerzia legislativa italiana sul tema del fine vita.

Nonostante la sentenza n. 135 del 2024 della Corte costituzionale abbia ampliato l’interpretazione del concetto di «trattamento di sostegno vitale» includendo anche procedure di assistenza continua da parte di familiari o caregiver, la gip ha stabilito che la condizione di Scalas non rientrava nei parametri previsti. Secondo l’ordinanza, infatti, il caso di Scalas non avrebbe soddisfatto tutti i requisiti stabiliti dalla Consulta per accedere legalmente all’aiuto al suicidio in Italia, dal momento che l’uomo non era mantenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, come ventilazione artificiale o nutrizione forzata. La gip ha spiegato che «è indispensabile la necessità dello stretto collegamento con la natura vitale dei trattamenti di sostegno, al punto che la loro omissione o interruzione determinerebbe prevedibilmente la morte in un breve lasso di tempo». Inoltre, il giudice ha ribadito che la verifica delle condizioni del paziente deve avvenire in Italia e non può essere sostituita da una valutazione effettuata in Svizzera. La parola finale sarà quella del gup, che deciderà se rinviare i tre a giudizio (esito più comune nei casi delle imputazioni coatte) o emettere una sentenza di non luogo a procedere. L’articolo 580 del codice penale prevede per il reato di aiuto al suicidio una pena dai 5 ai 12 anni di reclusione.

La difesa degli imputati conta di dimostrare che il supporto fornito a Scalas rientri nei margini di non punibilità definiti dalla Corte costituzionale. «La gip di Firenze ha disposto l’imputazione coatta in quanto a suo avviso non risulta che Massimiliano fosse dipendente da un trattamento di sostegno vitale, nemmeno secondo l’interpretazione estensiva della Corte con la sentenza 135 del 2024 – ha dichiarato l’avvocata Filomena Gallo, Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni –. Affronteremo il processo per difendere il diritto ad autodeterminarsi di Massimiliano e di tutte le persone nelle sue condizioni, la cui vita è totalmente dipendente da altri». Marco Cappato, Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, ha commentato evidenziando che quella intrapresa con Lalli e Maltese è stata «un’azione di disobbedienza civile», spiegando che ai tempi si autodenunciò insieme alle due attiviste «perché eravamo, e siamo, pronti ad assumerci le nostre responsabilità, nel pieno rispetto delle decisioni della magistratura, e nella totale inerzia del Parlamento», con un’azione che continuerà «fino a quando non sarà pienamente garantito il diritto alla libertà di scelta fino alla fine della vita, superando anche le discriminazioni oggi in atto tra malati in situazioni diverse».

Il suicidio assistito è una pratica medica in cui una persona, affetta da una malattia incurabile o da una condizione che le provoca sofferenze fisiche e/o psicologiche insostenibili, sceglie volontariamente di porre fine alla propria vita con il supporto di un medico. A differenza dell’eutanasia, in cui è il medico a somministrare direttamente il farmaco letale, nel suicidio assistito il paziente mantiene il controllo sull’atto finale, assumendo autonomamente il farmaco prescritto. Questa pratica è legale in alcuni Paesi, come Svizzera, Canada, Belgio e in alcuni stati degli USA, dove è regolata da normative stringenti che prevedono una valutazione medica accurata per verificare la lucidità del paziente e la gravità della sua condizione. In Italia, invece, il suicidio assistito è vietato, sebbene la Corte Costituzionale abbia aperto alla possibilità di non punire chi aiuta una persona a morire, in determinate circostanze stabilite dalla storica sentenza n. 242 del 2019 (caso Cappato-Dj Fabo). Nello specifico, il soggetto deve essere capace di prendere decisioni libere e consapevoli, affetto da una patologia irreversibile, sperimentare sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili e dipendere da trattamenti di sostegno vitale. A febbraio, il Consiglio regionale della Toscana ha approvato una legge che regola tempi, modalità e costi per l’accesso al suicidio assistito, rendendo così la regione la prima in Italia a dotarsi di una legge in materia, fondata proprio sulla pronuncia del 2019 della Consulta.

[di Stefano Baudino]

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