lunedì 31 Marzo 2025

I dazi americani ancora non ci sono, ma stanno già bloccando le esportazioni italiane

I dazi annunciati dal presidente statunitense Donald Trump sugli alcolici europei non sono ancora entrati in vigore, ma in Italia si registrano già conseguenze rilevanti per l’economia e in particolare per le aziende del settore. Da circa una settimana, infatti, le esportazioni di alcolici verso gli Stati Uniti sono letteralmente bloccate, con migliaia di bottiglie ferme nei porti e nelle cantine della Penisola, senza sapere se e quando le spedizioni riprenderanno. Se non verranno posticipati, i dazi annunciati dal capo della Casa Bianca sugli alcolici europei dovrebbero entrare in vigore il prossimo 2 aprile, cosa che ha messo in massima allerta gli importatori statunitensi, i quali hanno deciso di cancellare tutti gli ordini, nel timore di dover pagare il 200% dei dazi su ogni bottiglia: come ha spiegato Sandro Sartor, presidente e amministratore delegato dell’azienda vinicola toscana Ruffino, se una nave (il vino viene esportato solo via mare) partisse in questi giorni da Livorno, arriverebbe negli USA dopo la metà di aprile, con i dazi probabilmente già in vigore. Il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi, ha spiegato, invece, che «gli importatori statunitensi di vino non sono in grado di fare piani aziendali non conoscendo le condizioni di mercato da qui al brevissimo termine» e questa situazione ha creato una «fase di stallo». Le associazioni di categoria hanno già chiesto l’intervento del governo nella speranza che possa cerare di rimuovere i dazi, evitando così un impatto considerevole sui produttori italiani. Secondo i dati dell’Unione italiana vini, nel 2024 il 24% dei vini italiani esportati era diretto negli USA per un valore di 1,93 miliardi di euro.

Dopo che l’amministrazione Trump, lo scorso 12 marzo, aveva imposto tariffe al 25%  su acciaio e alluminio provenienti dall’UE, l’esecutivo comunitario aveva risposto con dazi di ritorsione su vari prodotti statunitensi dal valore complessivo di 26 miliardi di euro l’anno. La decisione di Bruxelles, a sua volta, ha spinto Trump a imporre tasse sui prodotti vinicoli europei allargando la guerra commerciale tra USA e UE. In questo contesto, l’Italia è particolarmente esposta, in quanto gli Stati Uniti sono il terzo paese di destinazione delle merci italiane e le regioni più a rischio risultano la Lombardia, l’Emilia-Romagna, la Toscana, il Veneto e il Piemonte, che insieme esportano più di due terzi del totale delle merci italiane vendute oltreoceano. Recentemente, i tre consorzi di tutela del prosecco (Prosecco Doc, Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg e Asolo Prosecco Docg), che insieme esportano negli Stati Uniti quasi 150 milioni di bottiglie, hanno scritto una lettera al ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, per chiedere un suo intervento: «Il venir meno di un mercato simile comporterebbe la necessità di individuare paesi alternativi ove andare a collocare queste produzioni e, nell’emergenza, questo comporterebbe di sicuro una pesante contrazione del valore, con ripercussioni per le nostre aziende, sia in termini economici che sociali», si legge nella lettera. Il 19 marzo, invece, il presidente e il segretario generale di Uiv, Lamberto Frescobaldi e Paolo Castelletti, hanno discusso l’argomento con il ministro degli Esteri Antonio Tajani.

Sebbene si citi spesso il settore agroalimentare, quest’ultimo non è quello più importante per le esportazioni italiane: la penisola, infatti, esporta oltreoceano prevalentemente macchinari, articoli farmaceutici e mezzi di trasporto, mentre importa farmaci, prodotti dell’estrazione di minerali e materie prime. Complessivamente, l’Italia vende agli USA merci per 67 miliardi di euro, e ne importa per 25 miliardi. Il settore agroalimentare rappresenta complessivamente solo il 9% di tutte le esportazioni nazionali negli Stati Uniti e il 5% delle importazioni. In generale, Stati Uniti e Unione Europea hanno la più grande relazione commerciale al mondo, scambiandosi un quantitativo di beni, servizi e investimenti che non ha eguali per nessun’altra coppia di Paesi. Nel 2024 le due nazioni si sono scambiate 864 miliardi di euro di beni, di cui 531 è il valore della vendita di prodotti europei negli Stati Uniti e 333 quello dei prodotti statunitensi all’Unione Europea. La nazione europea che esporta di più oltreoceano è la Germania, che di conseguenza è anche quella più esposta ai dazi, seguita da Paesi Bassi, Francia e Italia, rispettivamente l’undicesimo, il dodicesimo e il tredicesimo partner commerciale degli Stati Uniti.

Non a caso, uno dei principali bersagli della strategia “trumpiana” dei dazi è proprio Berlino che negli anni, a partire soprattutto dall’introduzione dell’euro, ha accumulato un enorme surplus commerciale grazie alla moneta unica, alla compressione dei salari e alle politiche di austerità che hanno indebolito la domanda interna. Il tutto non solo a danno degli Stati Uniti, ma anche e soprattutto degli altri Paesi europei. Nel colpire in particolare Berlino, però, i dazi statunitensi finiscono per ripercuotersi su tutti i Paesi UE, Italia compresa. Essendo un’unione doganale, infatti, l’UE si relazione commercialmente con gli altri Stati come entità unica: tutti gli Stati membri applicano e sono sottoposti agli stessi dazi e, di converso, uno Stato extra Ue non può applicare dazi ai prodotti di una specifica nazione europea, ma ai prodotti dell’Unione nel suo complesso. All’Italia converrebbe, dunque, avere relazioni bilaterali con Washington, cosa però esclusa dalla sua appartenenza all’UE. Per le stesse ragioni, sarà difficile che il governo italiano potrà intervenire sulle politiche dei dazi stabilite da Trump, come richiesto dalle associazioni di categoria del settore vinicolo. Al contrario, quello degli alcolici potrebbe essere solo il primo dei settori colpiti nel contesto della guerra commerciale intrapresa da Trump contro l’Ue e le politiche mercantiliste di Berlino.

[di Giorgia Audiello]

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3 Commenti

  1. Trump va compreso ed ha correttamente indicato il diritto degli USA di avere parità tra importazioni ed esportazioni e quindi gli altri Stati dovrebbero collaborare a questo con buona volontà tassando a richiesta le proprie merci per l’esportazione verso gli Stati Uniti e solo dopo eventualmente chiedere agli USA a loro volta di tassare merci loro da noi richieste in maniera eccessiva o che sono poco salutari come Coca Cola e Mac Donald’s.
    Ma cosa ci vuole a diventar Civili???

  2. Lo scopo di Trump in questo momento è creare confusione e le condizioni per trattare un accordo. In ultima analisi sarebbe protezionismo, se la produzione americana interna fosse in grado di soddisfare la richiesta di mercato (ma così non è). Di sicuro non lo fa perché ha a cuore la salute dei suoi sudditi, altrimenti avrebbe già messo mano a politiche di educazione alimentare (e c’è parecchio da fare laggiù), cosa che non risulta

  3. Non disdegno il buon vino, ma vedere come la produzione agricola in Regioni come il Veneto ed il Trentino-Alto Adige, negli ultimi dieci anni, si sia buttata sulla produzione di un bene voluttuario, con ingenti sovvenzioni pubbliche, sia per la produzione che per il marketing, piuttosto che produrre derrate alimentari di prima necessità ad elevato valore nutrizionale (legumi, cereali, brassicacee etc., investendo massicciamente su una monocoltura con il massimo valore aggiunto), mi ha spesso dato da pensare. Vediamo ora se il cambiamento geopolitico (e non climatico) invertirà questa assurda tendenza.

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