Nell’arco di un ventennio, la protezione delle aree marine in Tanzania ha sensibilmente migliorato la qualità della vita delle comunità che si trovano nelle loro immediate vicinanze. Si tratta di un dato di una certa rilevanza, in quanto costituisce una vittoria del modello di conservazione e tutela dell’ambiente e in quanto il 20% circa della popolazione tanzanese dipende dalle risorse marine per la propria sussistenza. Inaspettatamente, tale miglioramento dipende in larga parte dalla diversificazione dei settori economici come conseguenza delle attività di conservazione.
Le aree marine protette sono un elemento chiave per garantire la conservazione dell’ambiente marino, dal momento che garantiscono la tutela della biodiversità e forniscono benefici socio-economici. Le cinque aree marine oggetto dello studio, i cui esiti sono stati pubblicati recentemente su Conservation Letters, sono state istituite negli anni ’90. In queste zone, la pesca non è stata vietata, ma consentita solamente con modalità orientate alla sostenibilità. In base ai positivi risultati raggiunti, gli scienziati ritengono che questo possa costituire un modo per aiutare la Tanzania, ma anche altre nazioni nel mondo, a raggiungere l’obiettivo di proteggere il 30% dei propri oceani entro il 2030, senza dover chiedere ai pescatori di rinunciare ai propri mezzi di sostentamento.
Per verificare l’impatto delle aree tutelate sullo sviluppo locale, il gruppo di ricerca ha intervistato 840 famiglie in 24 villaggi, confrontando poi i dati con i risultati di un’indagine simile condotta nel 2003. Tutti i villaggi esaminati hanno visto migliorare le proprie condizioni di vita, misurate in base a 18 variabili tra le quali la proprietà della casa, la sicurezza alimentare e l’accesso alla refrigerazione. Tali benefici sono stati osservati in maniera estremamente più accentuata tra chi vive entro i 5 chilometri dalla costa, rispetto a chi vive a 10 o più chilometri di distanza da essa.
Le misure di conservazione sono state orientate soprattutto al controllo della pesca indiscriminata, dal momento che, secondo quanto spiegato dagli studiosi, gli ecosistemi dell’Oceano Indiano sono sottoposti a forti pressioni, a causa dell’eccessivo sfruttamento delle risorse e del cambiamento climatico. Inaspettatamente, tuttavia, il miglioramento della qualità della vita registrato è dipeso da una maggiore diversificazione dei settori economici come conseguenza dei progetti di conservazione, che hanno portato alla crescita di industrie diverse rispetto alla pesca o all’agricoltura. Al momento non si hanno dati certi, ma gli scienziati ipotizzano che a far da trainante principale sia il settore turistico, con un aumento di attività che vanno dallo snorkeling alla vendita di prodotti tipici locali.
[di Valeria Casolaro]