mercoledì 2 Aprile 2025

Torino, la lotta non è associazione a delinquere: cade il teorema della procura

Si è sgretolata nell’aula del Tribunale di Torino l’accusa di associazione a delinquere contestata a 16 attivisti dei movimenti di resistenza afferenti a diverse realtà del territorio piemontese. Quando al presidio di fronte alla procura arriva la notizia della lettura della sentenza, poco dopo le 15 di lunedì 31 marzo, esplode un boato di festa, le bandiere No TAV sventolano di fronte a un cordone di decine di agenti in tenuta antisommossa. «La lotta per il territorio, la resistenza sociale non è un reato. Sono tanti i reati che vengono contestati, la lotta è ancora lunga, ma la sentenza è chiara: si tratta di un messaggio importantissimo per i movimenti sociali e di lotta non solo di Torino, ma di tutta Italia» commenta una giovane in presidio. 

Il processo, iniziato nel 2022, vede alla sbarra 28 attivisti di età comprese tra i 20 e i 75 anni, afferenti a varie realtà antagoniste e di resistenza del contesto torinese, quali il centro sociale Askatasuna, lo Spazio Popolare Neruda, il Movimento No TAV e il centro sociale Edera, tra gli altri. Sedici tra gli imputati si trovavano ad affrontare l’accusa più grave, ovvero quella di associazione a delinquere: due in quanto ideatori della presunta associazione, sei in quanto promotori e altri otto in quanto partecipanti. Gli imputati restanti erano accusati dei cosiddetti “reati-fine”, ovvero commessi al fine di portare avanti il disegno criminoso dell’associazione – tra questi falò in Val di Susa, danneggiamento delle reti dei cantieri e altri reati minori. «Tutte cose che prese singolarmente non avrebbero fatto partire nulla, ma che messe insieme costruiscono il “disegno criminoso” del quale la pm sta cercando di accusarci» dice a L’Indipendente uno degli imputati. Tra coloro che, secondo l’accusa, costituivano i promotori dell’associazione a delinquere vi erano volti storici della lotta No TAV, come Dana Lauriola, per la quale la procura ha chiesto tre anni. In generale, le pene richieste vanno da un anno e sei mesi a sette anni di detenzione, per un totale di 88 anni complessivi.

Le accuse formulate dalla pm si basavano in gran parte su intercettazioni raccolte tra il 2019 e il 2021, utilizzate, secondo gli attivisti, in maniera del tutto decontestualizzata. Sulla base di queste, l’accusa aveva inizialmente ipotizzato l’accusa di associazione a delinquere con finalità eversive, uno dei reati più gravi del nostro ordinamento. In base a ciò era stato autorizzato lo sgombero del centro sociale Askatasuna e di vari altri edifici occupati a Torino, nonché di tutti i presidi No TAV in Val di Susa. Come spiegato dalla stessa Dana Lauriola a L’Indipendente, la tesi della procura era che, nel corso degli anni, un ristretto gruppo di persone si sia infiltrato nel centro sociale Askatasuna e nello Spazio Popolare Neruda, arrivando fino a realtà sportive e di altro genere del movimento No TAV, per commettere atti violenti. «La pm in aula ci ha anche detto che resistere e protestare è assolutamente legittimo, che però noi guarda caso lo facciamo nel modo sbagliato» riferisce a L’Indipendente L., uno degli giovani sui quali ricadeva l’accusa di associazione a delinquere. «Tuttavia, si tratta di accuse che a un certo punto, a un qualche grado del procedimento, cadono sempre. Succede in moltissimi processi contro i movimenti di resistenza. Che si tratti del primo o del secondo grado finirà, come è successo al comitato Giambellino a Milano». Il riferimento è al movimento per il diritto alla casa dei quartieri periferici di Milano, del quale nove membri erano stati condannati con pene da 1 a 5 anni proprio per il reato di associazione a delinquere con finalità di occupazione e resistenza.

Secondo gli attivisti, l’intero processo ha «chiari fini politici» ed è volto a delegittimare le rivendicazioni, in particolare, del Movimento No TAV, uno dei più longevi nella storia dei movimenti italiani, il quale si oppone alla costruzione di una grande opera e alla conseguente devastazione dei territori, oltre che allo sfratto di numerose famiglie dalle proprie abitazioni.

[di Valeria Casolaro]

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